Sentirsi perdente

Sentirsi perdente

Pubblicato da: Categorie: modi di percepirsi
Nel corso della sua vita, una persona timida accumula una tale quantità d’insuccessi che finisce col considerarsi fallita (… fallisco in ogni cosa che faccio) e quando questi esiti esprimono una discrepanza tra il sé sociale desiderato e quello materiale, tra i successi altrui e i propri fallimenti, tra l’idea dell’essere vincente nella competizione sociale e il non riuscirvi  (… finisco sempre per essere l’ultimo) si fa strada il sentimento di un’appartenenza surrogata, funzionale al dominio altrui ( … “non riesco a evitare di farmi dominare”, “alla fine subisco sempre”). 

Edward Hopper – n.t.

In quanto soggetto sociale che aspira a una piena accettazione e a un ruolo quanto meno di un pari (… non riesco mai a farmi valere), vive l’insuccesso come una sconfitta che, sommandosi alle altre, definiscono sé stesso come un perdente (… sono un perdente).

Quella del perdente è una figura retorica emblema di un individuo inadeguato all’interno del dominio in cui l’insuccesso si manifesta.

Nelle ansie sociali, una tale figura tende a permeare l’intero insieme delle cognizioni sul sé. Detto in altri termini, l’ansioso sociale tende a considerarsi perdente come persona, a generalizzare l’idea di una propria presunta inadeguatezza applicandola all’insieme delle sue qualità personali. [sul giudizio di sé]

Il problema sta nel fatto che l’ansi

Perché gli ansiosi sociali hanno difficoltà a inserirsi in un gruppo?

Perché gli ansiosi sociali hanno difficoltà a inserirsi in un gruppo?

Pubblicato da: Categorie: I problemi delle persone timide, La comunicazione

Il modo di come interpretiamo gli eventi e tutta l’attività della nostra mente, è un pullulare di pensieri. Anche quanto crediamo di non pensare, la nostra mente sta pensando.

Edward Hopper – s.t.

Quando dico che la timidezza, e le altre forme di ansia sociale, sono di natura cognitiva, è implicito che c’è lo zampino determinante dei flussi di pensiero che attraversano la nostra mente.

Le difficoltà che si vivono nell’inserimento sociale, nel partecipare attivamente a una discussione, nell’esprimere pareri e pensieri, nel creare relazione, dipendono, in primis, dai pensieri evocati dalla nostra mente in merito a tali attività. Ma quali sono i problemi di base che agiscono in questi casi?  Direi che c’è il bisogno-necessità-esigenza di essere parte di un contesto sociale, cioè, di un gruppo, di una comunità, o anche di una coppia. E ciò deriva dal fatto che l’essere umano è un animale sociale che riesce a realizzare sé stesso, compiutamente ed efficacemente, se è inserito in un contesto costituito da una pluralità di persone che condividono determinati obiettivi, culture, interessi. Il bisogno di appartenenza diventa, quindi, un valore cui l’individuo conferisce importanza primaria e validità fondante del proprio sé sociale. Sappiamo che maggiore è il valore che conferiamo a un fattore, un bisogno, eccetera, maggiore è anche il livello di attenzione che vi

Quando ci si vergogna di essere timidi

Quando ci si vergogna di essere timidi

Pubblicato da: Categorie: Le emozioni

In un precedente articolo, ho parlato della vergogna come emozione in sé e le funzioni che svolge, in quanto tale, nella specie umana. Qui mi voglio soffermare su aspetti che riguardano la vergogna, in relazione al problema dell’appartenenza sociale. 

Elisa Anfuso – Con il Nastro Bianco

La vergogna provoca una sorta di auto umiliazione un po’ in tutti coloro che hanno a che fare con l’ansia sociale, cioè, la timidezza, la fobia sociale, l’ansia da prestazione, il disturbo evitante della personalità, eccetera. La vergogna è una emozione che ha due aspetti principali: il primo nasce dalla percezione del superamento di una soglia, oltre la quale, diventa a rischio l’accettazione sociale, per cui la persona timida teme di potersi trovare in una condizione di non appartenenza; il secondo, è soprattutto riferito al comportamento e all’idea di trasgressione di regole e principi cui si conferisce particolare valore. La vergogna, come superamento della soglia di perdita dell’accettabilità sociale, si collega a credenze sulla inadeguatezza delle proprie qualità personali. Qui è coinvolto il timore del giudizio negativo degli altri. L’ansioso sociale si preoccupa per come viene, o potrebbe essere, percepito dagli altri. Il percepirsi non allineato con gli standard comportamentali impone, alle persone timide, flussi di pensieri generalmente inerenti l’idea di una normalità mancata

La dispersione dell’attenzione nelle ansie sociali

La dispersione dell’attenzione nelle ansie sociali

Pubblicato da: Categorie: I problemi delle persone timide

“Qualsiasi cosa debba fare, penso sempre a tutt’altro”; “viaggio troppo con i pensieri: quando lavoro, quando sto con gli altri, in ogni luogo”;” non sto mai nella realtà, sono sempre preso dai pensieri”; “sto sempre a fantasticare su una realtà che non esiste”; “non riesco a stare attento su niente, son troppo preso dai miei pensieri”; “penso troppo, non riesco neanche a stare attento quando qualcuno mi parla”.

Edward Hopper – sole del mattino

Amare considerazioni frequenti nelle persone timide e negli ansiosi sociali, in generale. Spesso sono anche seguite da giudizi critici e negativi su sé stessi.  L’ansioso sociale legge questo fenomeno come una propria incapacità a controllare flussi di pensieri che gli si presentano alla mente con abitudinarietà e automaticità.

Nella realtà, si tratta di una inibizione nell’esercizio delle capacità di controllo. 

Il carattere abituale e automatico di questi flussi di pensieri, fa sì che essi pervengono alla mente bypassando talune fasi del processo elaborativo. L’ansioso sociale viene a trovarsi in una situazione per la quale non riesce ad avere il controllo di quei flussi di pensiero che si presentano in modo automatico e che si svolgono in modo abituale. Sovente, tutto ciò si configura come evitamento cognitivo, cioè un comportamento mentale finalizzato alla distrazione, ad evitare lo svolgimento

Perché si diventa timidi?

Perché si diventa timidi?

Pubblicato da: Categorie: Origine e cause delle ansie sociali e della timidezza

La timidezza è un disagio psichico, di natura cognitiva, che si determina nel dominio dell’interazione sociale. 

Lucia Schettino – L eccezione consiste semmai nella maggiore intensità

Si manifesta con comportamenti evitanti o viziati da inibizione ansiogena. Si caratterizza, per i flussi di pensieri negativi, che attraversano la mente, e riguardano il sé, gli altri o il mondo sociale; per le emozioni che comportano l’attivazione di sintomi fisiologici dell’ansia.

Va detto, però, che una definizione definitiva della timidezza, non si è ancora raggiunta, per via di un’ampia gamma di forme, ambiti sociali di attivazione, intensità e frequenza delle sue manifestazioni.

Infatti, non è sempre chiaro il confine tra timidezza e fobia sociale o disturbo evitante della personalità, tra disagio e patologia; i tratti dell’uno si confondono spesso con quelli dell’altra. Generalmente, è considerata una forma di ansia sociale non patologica. Tuttavia forme di timidezza cronica lasciano, comunque, il sospetto che possano essere disagi patologici. La sua natura cognitiva e le tipologie delle cognizioni interessate sono comuni anche ad altre forme d’ansia sociale.  Perché, allora, la timidezza non è considerata una forma patologica?  La differenza è, innanzitutto, nella frequenza e intensità sia nei processi cognitivi, sia nelle manifestazioni emotive e ansiogene; poi ne

L’influenza del comportamento nella timidezza tra asocialità e solitudine – Seconda parte

L’influenza del comportamento nella timidezza tra asocialità e solitudine – Seconda parte

Pubblicato da: Categorie: I comportamenti degli ansiosi sociali e delle persone timide
SECONDA PARTE   va alla Prima parte    

Nella timidezza, e in ogni forma di ansia sociale, i comportamenti disfunzionali assumono carattere abituale e automatico finendo, così, con l’essere espressione del carattere del soggetto.

Margherita Garetti – Punti di vista

Dato che i comportamenti disfunzionali delle persone timide, sono il prodotto di processi cognitivi che generano emozioni di sofferenza e inibizione ansiogena, il carattere di tali individui assume tratti che non trova corrispondenza con i significati positivi che il gruppo o la comunità conferisce ai comportamenti sociali condivisi e loro corrispondenti modelli comportamentali. I comportamenti evitanti, di estraniazione, di distrazione, sono generalmente interpretati come indisponibilità all’interazione, non interesse ad appartenere al gruppo o alla comunità, tendenza alla discriminazione sociale (snobismo), disinteresse verso gli obiettivi comuni del gruppo o della comunità.

Tuttavia, il carattere emotivo dell’ansioso sociale viene percepito dagli altri. 

Quel che viene a mancare è la comprensione del collegamento tra il tratto caratteriale emotivo e le motivazioni comportamentali. In pratica le persone, non potendo accedere ai flussi di pensieri del soggetto timido, non potendo avvertire le sue emozioni interiori, valuta i comportamenti per ciò che appaiono e non per ciò che sono. Una difficoltà di c

L’influenza del comportamento nella timidezza tra asocialità e solitudine – Prima parte

L’influenza del comportamento nella timidezza tra asocialità e solitudine – Prima parte

Pubblicato da: Categorie: I comportamenti degli ansiosi sociali e delle persone timide
PRIMA PARTE

“Gli altri si stancano subito di me”, “gli amici non m’invitano”, “gli altri cercano sempre di evitarmi”, “gli amici organizzano le cose senza dirmi niente”, “oramai sto sempre in casa perché non ho nessuno con cui uscire”, “tutte le volte che tento di relazionarmi, è un fallimento”, “perché le persone mi evitano, cos’ho che non va?”.

Elisa Anfuso – solitud-es n1

Molti autori descrivono la timidezza come un tratto del carattere.  In effetti, una persona timida la si riconosce per mezzo dei suoi comportamenti. Qua vale la pena chiarire cosa sia il carattere e cos’è un comportamento.

Il carattere è l’insieme dei comportamenti abituali e tipici di una determinata persona.

Chiaramente, perché un comportamento sia abituale, deve essere adottato con sistematicità e frequenza.  I comportamenti non sono qualcosa di innato, bensì, si apprendono. Ciò significa che il carattere è un insieme di comportamenti appresi. È qui abbiamo sfatato un “mito” secondo il quale il carattere sia qualcosa di innato: nulla di più errato. È la storia di una persona (culturale, emotiva, relazionale) che determina il suo carattere. (altro…)

La dipendenza da comportamenti e metacognizioni disfunzionali nella timidezza

La dipendenza da comportamenti e metacognizioni disfunzionali nella timidezza

Pubblicato da: Categorie: Modelli cognitivi e metacognizioni nel pensare degli ansiosi sociali

In genere, quando si parla di dipendenza, si pensa a quella da stupefacenti, alcol, gioco, eccetera. Esiste, però, una forma che è molto più subdola perché legata a comportamenti e modi di pensare abituali e perché, questi, difficilmente sono visti dalla prospettiva della dipendenza. 

In questi casi, i soggetti diventano dipendenti per via dell’abitudinarietà e/o dell’automaticità dei comportamenti e di certi modi del pensare.

Lucia Schettino – My drop. My dream

La dipendenza da un comportamento abituale o da uno stile del pensare è, in realtà, un fatto comune a tutte le persone. Se pensiamo, ad esempio, al carattere, che possiamo definire come l’insieme dei comportamenti abituali che caratterizzano una persona, non possiamo non considerare come l’individuo sia da questo fortemente dipendente: è davvero difficile comportarsi rinnegando il proprio carattere.  Nelle ansie sociali, purtroppo, la dipendenza dai comportamenti automatici diventa una condanna alla sofferenza. Dove c’è un vantaggio nel ricorrere a un determinato comportamento, seppur limitato all’immediato, c’è sempre il rischio di restare intrappolati nel vortice della reiterazione. Un comportamento ripetuto numerose volte, diventa abituale e, spesso, automatico. Si determina, quindi, una pulsione a mettere sistematicamente in atto tale comportamento. Nelle ansie sociali i comportamenti lacunosi assolvo

Essere asociale nell’ansia sociale

Essere asociale nell’ansia sociale

Pubblicato da: Categorie: I problemi delle persone timide
Spesso utilizziamo il termine “asociale” in modo improprio, nel senso che tale parola afferisce a un individuo insensibile ai fatti, ai problemi e alla vita sociale, non interessato per nulla alla socialità.

Lucia Schettino – La caduta delle mie forze

La persona afflitta da ansia sociale aspira a una socialità piena, soffre per il senso di non appartenenza o nel percepire sé stessa come appartenente in modo precario. Il suo problema, sta nella difficoltà che incontra nell’interagire con gli altri. 

I suoi tentativi di relazionarsi si risolvono, generalmente, in un insuccesso dovuto all’adozione di comportamenti non funzionali al relazionamento sociale, oppure al condizionamento dovuto all’ inibizione ansiogena. In questo modo, la persona timida, accumula sequenze anche consecutive d’insuccessi, e ciò produce sentimenti negativi, dolore per la non appartenenza, l’idea di un sé come fallito o incapace, l’idea degli altri come indisponibili e respingenti. Dunque, da una parte si convince di non essere abile o capace, che si traduce con un giudizio negativo su sé stessa all’insegna del concetto del fallimento; per un’altra parte percepisce gli altri come distanti e non ben disposti; per altra parte ancora egli vive, nella sua emotività, lo scoramento, il senso di impotenza, l’ineluttabilità della propria condizione, la solitudine.

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La formazione delle credenze nelle ansie sociali – II parte

La formazione delle credenze nelle ansie sociali – II parte

Pubblicato da: Categorie: Funzionamento fisico della psiche e della mente, Il sistema cognitivo
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SECONDA PARTE 

Una credenza continuamente rinforzata diventa rigida e sempre più resistente al cambiamento. A una maggiore rigidità di una credenza corrisponde una sempre minore aderenza alla realtà e, quindi, a una sua maggiore disfunzionalità.

Paul Klee – Tappeto del ricordo

Un sistema cognitivo che possa fronteggiare gli eventi con efficacia e raggiungere gli scopi, deve necessariamente essere flessibile, capace di adattarsi al mutare delle condizioni, di aggiornarsi e modificarsi, ciò per avere una sempre maggiore capacità di individuare una pluralità d’interpretazioni e soluzioni. Questo è quel che accade nella normalità. Dato che le credenze di base si formano ben prima dell’adolescenza, l’infante o fanciullo/a si trova ad avere scarse capacità di invalidare la traduzione in chiave negativa delle esperienze che vive.

Ciò perché il cervello non ha ancora raggiunto quel livello di sviluppo che gli permette di sviluppare un pensiero astratto complesso compiuto e un’analisi dialettica degli eventi. In pratica, non è nelle condizioni di potersi difendere dalle cognizioni inadeguate.  (altro…)