Nelle varie forme di ansia sociale il pessimismo esprime sfiducia nella possibilità del raggiungimento dei propri obiettivi.
Allo stato cosciente, esso è percepito come uno status quo permanente che è tale perché condizionato da ostacoli di natura sociale o personale, considerati insormontabili.
L’idea della non solvibilità della propria condizione sociale o interiore, è sovente chiaramente espressa, non solo nei pensieri automatici negativi, ma anche nelle credenze intermedie che si presentano nelle forme di assunzioni, motti e leitmotiv.
Laddove la timidezza si è sviluppata per effetto del brodo di cultura familiare le credenze intermedie sono riscontrabili anche nei precetti familiari. In tal caso, ci troviamo di fronte a un ambiente sociale che esprime, e trasmette, elementi cognitivi disfunzionali, il che indica, chiaramente, che in tali ambienti vi sono membri che, a loro volta, presentano disagi psicologici e modalità comportamentali anassertive.
Ovviamente, se ci sono credenze intermedie e pensieri automatici negativi, che sostengono la visione pessimistica del presente e del futuro personale, significa che queste sottendono a credenze di base che descrivono peculiarità del sé, degli altri o del mondo sociale, in chiave negativa.
Ma le credenze intermedie, non stanno lì per caso, esse devono conferire credibilità teorica e logica alle credenze di base da cui discendono, determinare e regolamentare i principi cui devono ispirarsi i comportamenti.
Nel momento in cui uno schema cognitivo verte su un’idea profonda d’inadeguatezza e induce a una percezione negativa di sé, i pensieri valutativi delle possibilità di far fronte agli eventi, producono conclusioni orientate a un’assente o insufficiente potenzialità risolutiva.
Chiaramente se non c’è capacità di soluzione, i pensieri di previsione sugli sviluppi futuri degli eventi predicono l’insuccesso.
Dato che le credenze si formano per effetto delle esperienze e sono, espressione della storia dell’individuo e delle sue interazioni sociali, ne consegue che, in tutta quest’attività mentale, la non fattibilità delle cose, la non solvibilità, è un fattore costante presente in tutte le fasi del processo cognitivo, e per l’ansioso diventa vera a priori, in quanto elemento di conoscenza acquisita, vera nel presente e nel futuro.
Ciò significa che nella mente delle persone timide il pessimismo acquisisce forza e validità: in quanto il passato si ripete nel presente e il futuro è una riproposizione infinita del presente.
Ponendoci in quest’ottica, possiamo anche affermare che il pessimismo si configura anche come espressione di una condizione di stallo mentale.
Il soggetto timido tende a vedere la propria vita presente e futura, come condannata all’immobilità, ora riconducendo a sé stesso tale immobilismo, ora scaricando le cause sul sistema sociale.
Che il mondo contemporaneo non favorisca e anzi rende più difficile l’inserimento nella vita sociale dei soggetti timidi è fuori di dubbio: i modelli di un uomo o di donna che vengono propagandati, sono quelli degli individui sicuri di sé, competitivi, aperti a ogni sorta di sfida, senza paura, esseri vincenti.
Tuttavia, non è la società in sé, a espellere e a isolare gli ansiosi sociali, essi sono sopraffatti dalle loro stesse paure, dalle convinzioni che hanno, di essere, in qualche misura, inadeguati, dalla loro difficoltà di avere comportamenti e pensieri adattivi.
Sono proprio queste difficoltà di autoaffermazione, a sviluppare e a rafforzare il loro senso d’inadeguatezza che determina i loro comportamenti disfunzionali e non adattivi a sviluppare in loro un’idea di sconfitta, di vacuità del proprio agire e delle proprie possibilità.
Il pessimismo si pone come negazione della speranza e della possibilità.