Con quanti pensieri una persona timida dice a sé stessa che è inadeguata? 

Claudia Venuto – come in alto così in basso

Spesso se lo dice senza neanche accorgersi d’averselo detto; se lo dice quando si convince di sapere come andrà a finire; se lo dice quando deve fronteggiare una situazione; se lo dice dopo ogni rinuncia, ogni fuga, ogni evitamento, ogni insuccesso percepito; se lo dice quando stabilisce cosa fare o non fare; se lo dice con immagini mentali; se lo dice con puri atti di coscienza; se lo dice nel suo dialogo interiore:

  • Non sono capace di farlo;
  • Loro sono più bravi di me;
  • Se dico qualcosa, rischio di fare un gran figuraccia;
  • So bene che non devo esprimere il mio pensiero;
  • Non so cosa dire;
  • Sono un fallito/a,
  • Penserà che sono stupida/o;
  • Se dico la mia penseranno che sono cretino/a;
  • Il mio valore dipende da quello che gli altri pensano di me;
  • Per quel che ho fatto non merito niente;
  • Sono sbagliata/o;
  • Sono difettosa/o;
  • Ho qualcosa che non va;
  • Cos’è che non va in me?;
  • Sono solo uno/a sfigato/a… la mia vita non ha senso;
  • Uno che alla mia età’ non ha né una macchina, né una vita sociale, né un fidanzato/a, è proprio un/a fallito/a;
  • Mi sento ingenuo/a, stupido/a, cretino/a;
  • Non conquisterò mai il suo cuore, sono incapace di farlo;
  • Non sono capace di amare;
  • Non ho preso l’esame, perché sono un/a incapace;
  • Se ho paura di sbagliare all’esame, vuol dire che sono scarso/a;
  • Il fatto che non riesco ad avvicinarmi alla persona che amo vuol dire che non sono capace di amare;
  • Se non sono amato/a, vuol dire che sono sbagliato/a;
  • Se gli altri non mi stimano, significa che sono un/a fallito/a;
  • Se commetto un errore vuol dire che non sono affidabile;
  • Se mi respinge, vuol dire che non sono attraente;
  • Farò sicuramente una brutta figura;
  • Quello che faccio non è mai importante;
  • Non ispiro nessuno;
  • Non interesso a nessuno;
  • Sono ridicola/o e sfinita/o da me stessa/o, perciò il problema sono io;
  • Non riesco ad andare avanti così, non servo davvero a niente;
  • Se sono timido/a, è perché sono un/a imbranato/a;
  • Ogni giorno ho una fissazione nuova, perciò ho capito che sono pazza/o;
  • Sono talmente negata/o e perdente, che non mi vorrà mai nessuno;
  • Se mi sento sfigato/a e scemo/a, è vero.

L’idea di essere inadeguati pervade la mente di tutti gli individui timidi. 

Si può dire che è la struttura cognitiva di base di tutte le forme di ansia sociale; il contenuto di memoria che costituisce l’informazione primaria di sé.

Su questa si basano e formano i costrutti metacognitivi e tutti gli altri processi mentali che si esplicitano, esternamente, nel comportamento, e internamente, nella loro fenomenalizzazione circolare.

L’idea dell’inadeguatezza può riferirsi a specificità ristrette o singole, o essere molto includente o globalizzante della persona.

Ho più volte parlato delle credenze di base, quelle definizioni del sé, degli altri o del mondo, dal carattere dichiarativo e sintetico. In queste, l’idea dell’inadeguatezza, si fa indicativa dell’indirizzo tematico, ma per la sua sinteticità non determina l’ampiezza del campo di applicazione.

Va detto che la disfunzionalità, insita nelle ansie sociali, non è il risultato di una semplice dinamica meccanicistica di causalità lineare da ricondurre esclusivamente alle credenze di base: quest’ultime stesse sono il risultato dell’evoluzione dell’idea di sé che si è dispiegata lungo la storia delle interazioni sociali e interiori del soggetto.

Tale disfunzionalità è anche un processo d’interazioni tra cognizioni, emozioni, percezioni corporee, fenomeni neurologici; e questi danno vita a processi come il restringimento dell’attenzione (focalizzazione sui pericoli temuti e le qualità negative proprie presunte), l’evitamento, la polarizzazione degli scopi.

Ciò significa che c’è anche produzione di metacognizioni che giustificano, alimentano, e regolamentano l’esplicitazione stessa dell’idea d’inadeguatezza.

Ci s’inventa una marea di “se” condizionali, di obblighi comportamentali, di modi di analizzare e valutare sé stessi, di stili e strategie logiche per gestire o nascondere la presunta inadeguatezza, comportamenti per farvi fronte, di ragionamenti che invertono l’ordine di causalità ed effetto, per cui le conseguenze sono considerate cause, e le cause diventano effetti (es. “se sono timido, è perché sono un imbranato”).

Tuttavia, il senso d’inadeguatezza non è solo ciò che l’ansioso sociale dice o racconta a sé stesso: lo “sentono”, ne avvertono la percezione anche se quasi sempre vaga; è nelle loro paure e nelle loro emozioni. Permea le loro azioni. 

Il comportamento evitante, ad esempio, è la fuga dal rischio di essere smascherati per ciò che si teme di essere, la fuga dal dolore procurato dalla propria inadeguatezza, un pericolo considerato immanente e imminente.






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