C’è un sacco di gente che veste alla Morrison così come in tanti usano il berretto alla Che. È un modo di dichiarare sé stessi in termini ideali ma col linguaggio dei segni, dell’iconografia.
È un po’ come dire “Io sono questo, il mio mondo, i miei ideali, le mie emozioni, le mie inquietudini sono queste, sappiatelo. Sic sum”.
È comunicazione non verbale, ma spesso più diretta.
Ma la cosa può essere più articolata. Può anche trattarsi dell’abbigliamento del proprio gruppo sociale, di frequentazione. In tal caso, è anche un comportamento gregario, di appartenenza sociale.
Non credo che, con l’abbigliamento trasgressivo, la persona timida cerchi di superare le sue inibizioni relazionali, più che altro afferma sé stessa nel modo che gli è più congeniale.
Se dentro sei A, qualsiasi cosa faccia, resti A.
Ciò che il timido è oggi, è comunque il risultato della sua storia e della storia delle sue relazioni. Dunque è anche il risultato della sua timidezza.
La musica è sempre stato un terreno adatto ai timidi. In essa, possono esprimersi senza tattiche, strategie, sotterfugi, detto tra le righe (tutte da interpretare).
La musica non recita un ruolo, semplicemente è se stessa; non deve dimostrare, si mostra; non deve rappresentare, é.
Nel mondo delle relazioni umane, l’essere umano è costretto ad apparire, nel mondo della musica l’uomo è, e basta.
Il rock, il metal, è trasgressione, diversità. Un timido ci va a nozze. “sì, eccomi qua’, sono un diverso”.
Tutto ciò che è trasgressione, diversità, alternatività, è pane masticabile per i timidi.
Tutto ciò che non è contrattazione di stili, di dizioni, di linguaggi, di comportamenti, è modalità elettiva della persona timida.
Dove la relazione non è contrattazione, dimostrazione, apparenza, ci trovi un timido.
Dove non è imperativo l’essere vincenti, primeggiare, l’essere lupi o leoni, ci trovi un timido.
La timidezza non va d’accordo con i linguaggi, verbali e non verbali, che hanno troppe possibili interpretazioni.
Alla timidezza, nella sua essenza sociale, piace il senso unico dell’interpretazione, del significato.
La trasgressione, in quanto linguaggio della diversità, seppur conturbante, e spesso ambigua nella sua misteriosità ammiccante, è un terreno favorevole per l’espressività delle persone timide. È il luogo in cui ti apri e, allo stesso tempo, un pò ti celi.
In realtà, tutte le arti sono terreno fertile per i timidi. In quanto libera espressione, l’arte, può permettersi ogni genere di giudizio.
L’individuo timido, l’ansioso sociale, non si sente a rischio. La sua persona è protetta dall’impersonalità dell’arte, nonostante essa sia incredibilmente intima dell’artista.
L’arte è una sorta di passepartout sociale: la liberalità universale che libera l’uomo dagli schemi, dai modelli, dalle regole, dai comportamenti, dalle strategie, dal tatticismo, dalla contrattazione, persino dalle dicotomie del bello e del brutto, del bravo e dell’incapace, del florido e dello sterile, del forte e del debole.
Se cercate l’ideale liberale puro, non quello economico che è tradimento, fossa dei leoni; non quello politico che è ipocrisia, lo trovate nell’arte.
Nonostante sia, forse, la forma più ambigua di linguaggio, nel senso che è oggetto di una pluralità interpretativa che è soggettiva, in quanto liberale, l’arte, conferisce spazio e dignità al soggetto timido che, in essa, trova la sua fonte espressiva ideale.