Quando un ansioso sociale fa i conti, nel suo dialogo interiore, con un evento che ha vissuto con ansietà o in modo non soddisfacente, rivisita con una certa insistenza gli avvenimenti, è mosso implicitamente o esplicitamente, dal desiderio di trovare soluzioni alla problematica emersa e che sente di dover risolvere. 
Comincia, così, a ruminare sugli avvenimenti, cerca di capire dove ha sbagliato, perché. Come intenzione è un modo di fare piuttosto normale, ma più si rumina sugli eventi, più vi si gira intorno senza trovare soluzioni. È un incartarsi costante. 

Paul Delvaux – la citta inquieta

Ciò accade perché le attribuzioni di causa e significato risentono marcatamente delle modalità interpretative dei fatti e queste sono, a loro volta, condizionate in modo determinante dai propri modelli cognitivi di definizione di sé, degli altri e del mondo.

La lettura degli eventi, nelle persone timide, negli ansiosi sociali in generale, è interpretazione emotiva della realtà, i fatti non vengono valutati nella loro oggettività, ma secondo le impressioni, sensazioni, paure e sentimenti, seguendo cioè gli impulsi emotivi. Il risultato è che il pensiero oggetto del ruminare, tende a stazionare sempre sugli stessi concetti, sulle stesse immagini mentali, sugli stessi puri atti di coscienza.

Quel che accade, è che il tentativo di trovare soluzione, si trasforma in un continuo pensare e ripensare all’evento oggetto dell’attenzione, e questo fa precipitare l’individuo timido in una condizione mentale di non accettazione di ciò che è già stato, egli non riesce a capacitarsi che sia accaduto ciò che non sarebbe dovuto accadere. 

Gli ansiosi sociali non fanno che notare la discrepanza tra ciò che è, e ciò che dovrebbe essere o che si vorrebbe sia; la stigmatizzazione di tale discrepanza, soprattutto quando è riferita a eventi trascorsi, non fa che accentuare un senso d’insofferenza, e perpetuare la non accettazione dei dati di fatto.

La ruminazione finisce con l’alimentare uno stato emotivo d’insofferenza che, non riuscendo a superare l’evento passato, permea – privandolo di vita e di qualità – il momento presente. I soggetti timidi, cioè, trasportano nel presente il passato, negando a sé stessi di vivere il momento presente, di esservi collegati. 

Ciò che nasce come modus operandi orientato al problem-solving, diventa – e permane in tale stato – la negazione stessa del suo obiettivo iniziale, una statica fossilizzazione sull’evento stesso: questo è la ruminazione.

Diversi studi hanno evidenziato che la ruminazione è l’elemento comune anche nei disturbi dell’umore, in particolar modo, nella depressione e, in tale disturbo, si delinea come fattore principale scatenante delle ricadute. Ciò la dice lunga di quanto la ruminazione costituisce un fattore di sicuro impatto negativo sia nei disturbi d’ansia che in quelli d’umore. 
Non solo. La ruminazione alimenta il circolo vizioso della timidezza, rivitalizzando le credenze disfunzionali ed è anche performante nell’instaurazione degli stati d’umore negativi. Riguardo questi ultimi altre ricerche hanno potuto appurare che un umore negativo favorisce la manifestazione di pensieri automatici negativi e la ruminazione stessa.

Nelle persone non afflitte da forme di ansia sociale, la ruminazione è un fenomeno limitato nel tempo e nell’assiduità, ma in una persona timida e, come abbiamo visto, anche in chi soffre di disturbi dell’umore, questa pratica mentale si protrae nel tempo, con alta intensità e con assiduità: diventa, per l’appunto, un modus operandi che assume anche i connotati dell’automaticità. Infatti, le persone afflitte dalla timidezza, da altre forme di ansia sociale, da disturbi dell’umore, si ritrovano quasi sempre coinvolti nella pratica della ruminazione senza rendersene conto, vengono risucchiati in una spirale di pensieri mossi dal pilota automatico e anche quando, per qualche attimo, diventano coscienti di quel che accadde nella propria mente, riprecipitano in tale automatismo poiché sono, ormai, alla mercé di tale routine.

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