Il fallimento e l’umiliazione

Negli individui timidi è molto comune che la vergogna sia collegata al timore o alla convinzione di compiere o aver compiuto comportamenti che infrangono costumi etici o morali in vigore nell’ambiente cui si fa riferimento. La paura di trasgredire queste regole è collegato alle idee del fallimento o dell’umiliazione.

Paul Klee – perso

Tutti gli individui si pongono l’obiettivo di offrire una buona immagine di sé, sia agli altri, sia a sé stessi: le persone timide vivono questo obiettivo con un particolare patema d’animo, ben oltre le normali preoccupazioni dei soggetti non ansiosi.

Mancare quest’obiettivo significa andare incontro al fallimento o all’umiliazione che si subisce attraverso le reazioni degli altri.

L’umiliazione rappresenta l’esplicitazione della propria impotenza, vuoi perché non ci si dimostra validi nel modo in cui si vorrebbe, vuoi perché non ci si mostra validi quanto si vorrebbe, e ciò pone in evidenza da una parte, l’essere smascherati, dall’altra svelare la propria impotenza.

Non a caso Battacchi e Codispoti (la vergogna – 1992) definiscono la vergogna, “come il segnale che si sta per subire, o si è già subita, un’umiliazione e, contemporaneamente, costituisce una reazione a tale umiliazione. In tal senso è intersoggettiva e intrasoggettiva“.  

Molti studiosi ritengono che, perché possa esserci vergogna, sia necessaria la condizione di essere esposti all’osservazione altrui.

Ciò implica che l’individuo che si espone, svolga esibizione di qualunque natura, che può essere volontaria o forzata, indotta o premeditata, frutto della casualità o d’improvvisazione istintiva legata al momento contingente.

Ciò che è sostanziale, è dato dal fatto che sia osservabile dagli altri e, dunque, valutabile da questi, in breve che possa produrre giudizi altrui.

La vergogna sussiste perché l’esibizione può dar luogo a un fallimento. In tal senso l’esibizione non riuscita pone fuori gioco gli scopi che sono: l’essere ammirati, l’essere approvati, il ricevere attenzione. L’insuccesso, quindi, mette in discussione il valore della persona nel primo caso, l’essere accettati all’interno del gruppo nel secondo caso, l’essere del tutto ignorati nel terzo caso.

Quando diventa palese, visibile all’esterno, e ciò accade soprattutto con la manifestazione del rossore, la vergogna alimenta il sentimento dell’umiliazione: da un lato, la persona timida sente di aver umiliato sé stessa, dall’altro ritiene di subire comportamenti di scherno da parte degli altri.

L’emozione della vergogna richiede sempre la presenza dell’altro, ma questa può essere anche soltanto mentale, cioè in assenza di una presenza fisica. Ciò può manifestarsi se i pensieri dell’individuo timido si spostano su considerazioni riguardanti gli altri in merito alla propria esibizione.

L’altro può assumere il ruolo dell’osservatore, del giudicante, dell’invasivo. In determinate circostanze tali ruoli possono anche coesistere in un unico individuo. Quando la vergogna si configura come umiliazione, le figure che entrano in gioco sono l’umiliato, l’umiliante, il testimone dell’umiliazione; le ultime due figure possono anche coincidere.

Il soggetto timido vive con maggiore intensità l’umiliazione quando è un fenomeno triadico, il livello di mortificazione, infatti, è sentita maggiormente in presenza di testimoni che possono assumere sia il ruolo dell’osservatore sia quello giudicante.

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