Sono molti i timori che possono affliggere una persona timida: di sbagliare, di essere giudicati negativamente dagli altri, di recare fastidio o disturbo agli altri, del fallimento, di subire un rifiuto, che possa emergere in modo evidente il proprio disagio o lo stato ansioso, di apparire goffi, imbranati, ridicoli, inabili, incapaci, di non piacere, di non essere considerati attraenti o interessanti come persona.
Queste paure sono figlie di convincimenti interiori profondi, le credenze, che delineano:
- Un’identità di sé definita in termini negativi sotto il profilo delle abilità e capacità nelle attività in cui si è un soggetto sociale, quindi, nelle relazioni amicali, nei rapporti di lavoro, nelle varie forme e tipologie di comunicazione interpersonale, nell’esecuzione di performance di vario genere in presenza di altri, nell’esercizio di funzioni di cui dar conto, in breve in tutte le attività sociali.
- Il considerare gli altri come soggetti indisponibili o escludenti, oppure come individui non affidabili o portatori di valori decadenti o contrapposti a quelli propri del soggetto timido.
- Considerare, in senso univoco, il mondo degli uomini come un ambiente ostile, insidioso, escludente, dominato da usanze e culture intenti ad isolare le diversità.
Partendo da queste convinzioni sostanzialmente inconsce, gli individui timidi finiscono col costruire pensieri reiterati nel tempo, che diventano ben presto abituali sino a diventare automatici. Idee che passano nella mente nelle forme discorsive (utilizzo di parole mentali), sotto la forma di immagini mentali, o in maniera non formale come puro atto di coscienza; queste sono valutazioni, previsioni, dati assunti come elementi di una realtà oggettiva.
Le costruzioni previsionali degli scenari, che nascono da questi presupposti dalle valenze decadenti, sono a loro volta negative.
La bassa autostima, l’insicurezza, generate da questi processi cognitivi che stimano al ribasso capacità, abilità e potenzialità della propria persona, trasformano il momento delle scelte in un luogo interiormente conflittuale.
Le persone timide sono sommerse da una tragica dicotomia tra desiderio e necessità emotiva contingente. Da un lato le intenzioni ideali, dall’altro il bisogno di annullare l’ansia che subentra e, nel contempo, evitare i rischi paventati dalle previsioni negative.
La timidezza è riassumibile proprio nel conflitto interiore che si risolve, in modo quasi sistematico, con l’abbandono della volontà positiva e a favore di scelte rinunciatarie.
Questo conflitto dicotomico è il fattore che pone la persona timida in una condizione di indecisione, ella vorrebbe agire in un modo, ma non ha la forza o il coraggio di soddisfare il proprio anelito, si sente inesorabilmente spinto e costretto alla scelta della rinuncia con l’attuazione di comportamenti evitanti, elusivi, estranianti, di fuga.
L’indecisione rappresenta, attraverso un momento di stallo o sospensione della volontà, il consumarsi tragico e sofferto di un conflitto interiore che volge verso la resa.
L’individuo timido vive il momento dell’indecisione con molta amarezza, con un profondo senso di sconforto, di sconfitta, come il fallimento di sé verso sé stesso, prima ancora che verso gli altri o verso l’evento in se.
La situazione in cui si consuma lo stato dell’indecisione, perde la sua valenza di momento temporale, di evento contingente, diventa “la vita di sé”; la resa, il fallimento, la rinuncia, sono il senso e l’emblema della vita in sé e della personalità e peculiarità proprie dello stesso soggetto timido: è così che egli la vive.
Come abbiamo visto la bassa autostima, l’insicurezza, e quindi il percepire sé stessi come inadeguati, costituiscono il retroterra cosciente che inducono le persone timide verso comportamenti e pensieri caratterizzati dall’indecisione e, allo stesso tempo, sono il risultato e la conseguenza di processi cognitivi segnati dalla disfunzionalità che sono prerogative delle varie forme di ansia sociale e quindi della timidezza.