In molti casi, in luoghi o locali dove c’è la presenza di altri individui, la persona timida si sente osservata, ha la spiacevole sensazione che gli occhi degli altri siano puntati sulla propria persona. In queste circostanze, la mente dell’individuo timido, sentendo su di sé lo sguardo altrui, è pervaso da pensieri automatici che lo pongono in una condizione di dubbio o d’inadeguatezza.
Molti sono i tipi di pensieri che possono balenare nella sua testa: dalle più banali come il pensare che il proprio abbigliamento non sia adatto o che i suoi movimenti possano essere scomposti, alle idee più complesse come quelle di credere che dalla propria persona, possano trasparire aspetti della propria personalità o qualità, che esprimono un senso d’inidoneità in un qualche campo del proprio essere soggetto sociale.
E ciò non accade solo per gli individui timidi, ma a tutti coloro che sono afflitti da qualsiasi forma di ansia sociale, anzi, quella del sentirsi osservati, può trasformarsi anche in fobia sociale.
Gli individui timidi nel momento in cui si calano negli spazi sociali, cominciano a percepirsi strani, distorti, diversi, senza rendersene conto cercano, nel mondo popolato di uomini, conferme al proprio negativo sentire. È come se la loro presunta diversità sia una divisa riconoscibile, un marchio di qualità decadente ed evidente, un segno dimostrativo di essere fuori dalle regole, dai costumi, talvolta persino fuori dai canoni etici o morali, fuori dalla società positiva.
La nudità del proprio mondo interiore esposta alla mercé del giudizio altrui, con le sue nefaste conseguenze.
Nel turbinio di questi pensieri negativi, le persone timide diventano facile preda di sentimenti ed emozioni anch’essi negativi. L’imbarazzo e la vergogna li spingono a giudicarsi impacciati, ridicoli, schifosi.
Ma davvero la gente non ha null’altro da fare che andare in giro a buttar sentenze sugli individui di cui magari, fino a qualche istante prima, non sapevano nemmeno della loro esistenza? Certo che no.
La timidezza induce le persone a ritenere le inadeguatezze, che sono convinti di avere, talmente evidenti da rendere inevitabile l’interessamento altrui. Nella realtà si convincono che gli altri li osservano perché essi stessi lo fanno verso la propria persona, e si auto giudicano. Il giudizio che dà danno di sé, la percezione di proprie inidoneità, costituiscono un aggregato capace di trasformare gli altri in uno specchio: quando un ansioso sociale è tra la gente, e si sente nudo e trasparente, legge negli sguardi e nelle sagome umane, la propria immagine riflessa, non quella fisica ed esteriore, ma il suo mondo interiore, i suoi difetti, le sue mancate qualità, tutto il male che pensa di sé stesso.
Il soggetto timido si sente osservato perché ha un’elevata focalizzazione su sé stesso, perché si percepisce inadeguato.
A quel punto, il sentimento della perdita, vissuta attraverso la paura della solitudine, dell’isolamento, dell’emarginazione, del rifiuto e dell’indisponibilità altrui, dell’esclusione umana e sociale, gli gioca un brutto scherzo: trasferisce, sugli altri, ciò che prova verso sé stesso, nel processo di assegnazione di causa, di effetto o di significato, considera come proveniente dall’esterno, il proprio sentire, percepire, pensare di sé.
I pensieri automatici negativi, che talvolta coincidono con le credenze di base, sciorinano le proprie verità, che sono quelle di una realtà interpretata emotivamente e mai in modo oggettivo.
Se il timido si sente una nullità, si convincerà che gli altri lo considerano tale. Se si considera un incapace, riterrà che gli altri lo giudichino in tal senso. Se si considera stupido, penserà che gli altri lo guardino accorgendosi della sua stupidità. Se si sente impacciato, si convincerà che gli altri si accorgono del suo impaccio. Se è convinto di essere un individuo insignificante, guarderà gli altri e leggerà nei loro volti una sorta di smorfia di disgusto. Se crede di essere ridicolo, chiunque ride o sorride, lo fa sulla sua pelle.
Egli concentra la propria attenzione sul sentirsi osservato, un’attenzione che diventa ossessiva, prorompente, che attrae a sé tutte le energie mentali e i pensieri. Quando la sua attenzione si concentra sulla convinzione di essere osservato, i suoi sentimenti possono anche spostarsi verso forme di rancore o di odio altrui, verso quel mondo che si prende gioco di lui, lo deride, lo confina nel ghetto degli esiliati dalla società.
Qualunque sia là credenza negativa che ha di sé, la persona timida la legge negli altri perché, sostanzialmente, è di loro che ha paura: dei loro giudizi, dei loro comportamenti consequenziali, del loro rifiuto, del loro allontanamento, di loro che lo condannano alla solitudine, al fallimento sociale definitivo.