Considerare la riservatezza un pregio, o un difetto, è un atteggiamento cognitivo poco utile o anche dannoso. In sé, la riservatezza non è né buona né cattiva; il suo essere funzionale o meno, è dipendente dai fattori che la determinano.

Martín Ramírez -la via

La riservatezza può essere un tratto della personalità, un aspetto caratteriale, un comportamento adattivo, un comportamento strategico finalizzato a uno scopo.

Se la consideriamo come tratto della personalità, in buona parte, è di natura istintiva, fa parte dell’indole innata di una persona, di un modo preferenziale di rapportarsi alle esperienze.

In tale forma la possiamo riconoscere nell’ introversione. Ma si tenga presente che in tal caso essa non implica, in alcun modo, difficoltà relazionali.

Vista come forma adattiva o strategica finalizzata allo scopo, la riservatezza è da considerare un comportamento che non implica abitudinarietà del suo manifestarsi, tende più che altro a essere temporaneo, una modalità operativa dettata dalla contingenza, da particolari condizioni che non si presentano in maniera stabile nel tempo. 

Come aspetto caratteriale, la riservatezza è un atteggiamento psicologico appreso o indotto dalle esperienze.

Quando parliamo di carattere ci riferiamo sempre a un insieme di comportamenti appresi e abituali.

Infatti, è proprio il ricorso abituale di determinati comportamenti a caratterizzare una persona.

Va osservato che la riservatezza come atteggiamento appreso, trova generalmente, la sua origine nell’ambiente sociale in cui si nasce e/o cresce.

Diversamente come atteggiamento indotto non possiamo che fare riferimento a comportamenti di risposta abituali a stimoli interpretati in determinati modi.

In quest’ultimi casi la timidezza, e le altre forme d’ansia sociale, costituiscono punti di partenza principali da cui discende il comportamento riservato.

Nella timidezza la riservatezza è un comportamento protettivo, spesso anche evitante.

La persona timida teme la rivelazione del sé e, al tempo stesso, è oberata da prolungati rimuginii e/o ruminazioni.

Talvolta la riservatezza è conseguenza “forzata” di una condizione di isolamento sociale che può scaturire sia da stati di appartenenza precaria, sia da uno stato di non appartenenza.

In questi casi l’individuo timido ha sé stesso come unico referente, per cui non può che rinchiudersi nel proprio dialogo interiore. Per la verità quest’ultimo aspetto potrebbe anche ascriversi in una sorta di riservatezza apparente.

Se consideriamo la riservatezza negli ambiti comportamentali delle ansie sociali, questa appare soprattutto come fattore disadattivo, come atteggiamento non funzionale alla socializzazione, come comportamento che trasmette messaggi di chiusura, indipendentemente dalla volontà e dalle intenzioni del soggetto.

Infatti, non possiamo ignorare il fatto che è impossibile evitare di comunicare; qualsiasi comportamento (ciò che si dice e ciò che si fa) è comunicazione in quanto interpretabile dagli altri a prescindere dalla nostra effettiva volontà di comunicare.

Le persone timide sono riservate anche perché sono preda dell’emozione della paura, è diversi sono i timori che le affliggono.

Ad esempio, la paura di essere giudicati induce molti soggetti a fare scena muta, ad astenersi dal prendere posizioni, a estraniarsi apparendo esternamente come una persona presa dai propri pensieri che si isola dal mondo.
Similmente accade anche per il timore di sbagliare, di non essere all’altezza, di non avere le giuste qualità o abilità, di essere respinti.

Alla base di tutto ci sono sempre le solite, maledette, credenze di base disfunzionali che definiscono il sé come inadeguato, in un modo, in un altro o in tanti modi.

L’isolamento sociale e il sommarsi degli insuccessi nell’interazione interpersonale, spingono gli ansiosi sociali a dirigere sempre di più la comunicazione verso il dialogo interiore, a volgere l’attenzione verso le proprie esperienze interne, a ridurre sempre di più l’esternalizzazione di emozioni e sentimenti.



Condividi questo articolo: