Introduzione

Ho più volte espresso il principio della notevole influenza ambientale nella formazione di sistemi cognitivi disfunzionali. 

Elisabetta Fontana – Anima a brandelli

Il formarsi della tendenza sistematica all’autocritica feroce nelle persone timide è uno degli esempi più evidenti del potere permeante dell’ambiente sociale in cui tali soggetti crescono e vivono.

Gli studi che dimostrano questa diretta correlazione sono, oramai, numerosi.

Anzi, possiamo affermare che le ansie sociali sono, sostanzialmente, il prodotto storico delle interazioni di un individuo con le figure e i ruoli di riferimento.

Oggi sappiamo che i comportamenti reiterati nel tempo concorrono nella mente di un bambino, soprattutto nei suoi primi anni di vita, alla formazione di condizionamenti cognitivi operanti.

Tali condizionamenti sono assorbiti nella memoria in termini di definizione del sé, degli altri e del mondo, e sono “emozionalizzati “ soprattutto nei soggetti a più alta reattività ansiosa.

Detto in altro modo, si crea una stretta associazione tra il comportamento delle figure di riferimento e l’emozione vissuta dal minore al momento dello stimolo.

Ricordo, ancora una volta che per comportamento s’intende sia ciò che si fa, sia ciò che si dice.

Generalmente, le tendenze alla severa autocritica e al perfezionismo hanno una genesi familiare. I comportamenti genitoriali più frequenti che inducono alla formazione di queste forme cognitive nelle ansie sociali possono raggrupparsi in quattro variabili principali: il criticismo, l’ostilità, il trascinamento emotivo, gli alti standard sociali.

Il criticismo genitoriale 

Si manifesta con frequenti commenti critici sostenuti anche da tono severo o perentorio; si esprime per mezzo di espressioni di disapprovazione, di sentimento, rifiuto e svalutazione del rimproverato (ad esempio, “possibile che sbagli sempre?!”, “Vergognati per quel che hai fatto!”). 

Il bambino, attraverso la sofferenza del rimprovero, sviluppa credenze di base su sé stesso che possono riguardare l’idea d’incapacità, immeritevolezza, non amabilità. Comincerà, quindi, a percepirsi inadeguato, imperfetto, difettoso. 

Nell’adolescenza, e poi nell’età adulta, l’esigenza di dover concretizzare una propria identità sociale prima, con il bisogno di accettazione poi, egli tende a compensare la propria presunta inadeguatezza con l’ossessione a dimostrare il proprio valore rinnegando la possibilità di errore e avendo, quindi, come obiettivo la precisione, gli alti standard di rendimento, mostrandosi al di sopra dell’imperfezione.

Ma la perfezione nel mondo umano non esiste, per cui l’ansioso sociale sperimenta continuamente il fallimento delle proprie performance, anche quando queste raggiungono buoni o alti livelli di qualità. 

Tutto ciò che non è la perfezione, è criticabile, rimproverabile, inaccettabile. Egli non si perdona il suo mancato obiettivo e finisce col confermare ciò che percepisce di essere, ovvero ciò che pensa di essere, cioè convalida le sue credenze di base disfunzionali.

Ostilità

Per ostilità si intende quella forma di criticismo, pervasivo e ripetitivo, che riflette una più globale e generalizzata valutazione negativa del figlio (o figlia), che riguardano cioè la persona nella sua interezza (ad esempio, “sei un idiota”, “sei una nullità”, “sei un cretino”, “deficiente!”). 

Anche in questo caso, il minore sviluppa credenze di base d’inadeguatezza. 

Qua, più che sofferenza del rimprovero, il minore passa attraverso la sofferenza dell’umiliazione e/o dell’essere difettoso, inferiore. 

La sua autocritica può persino giungere a somigliare un piangere la propria presunta deformità. 

In questi casi, più facilmente, si sviluppano sensi di colpa che conducono alla personalizzazione degli eventi, cioè considerarsi colpevoli per accadimenti negativi anche in mancanza di prove oggettive.

Il trascinamento emotivo

È un coinvolgimento emotivo esagerato che possono manifestarsi anche con comportamenti iperprotettivi e ansiosi del genitore. 

Un fattore caratterizzante è che il trascinamento emotivo tende alla drammatizzazione, o comunque, volge verso la polarità negativa. (Ad esempio, “tu vuoi il mio male”, “vuoi per forza farmi soffrire”, “possibile che devo sempre preoccuparmi per te?”). 

Si tratta di comportamenti piuttosto subdoli, tendono spesso all’induzione del senso di colpa e alla colpevolizzazione. In altri casi impediscono al minore di fare quelle esperienze utili alla formazione di un proprio senso di autonomia come, ad esempio, sostituirsi ai figli in decisioni che spettano a loro. 

L’ansioso sociale può sviluppare credenze d’incapacità, inabilità, inferiorità, indegnità.

Gli alti standard sociali

Corrispondono, sovente, a miti e assunzioni genitoriali. Si manifestano anche attraverso attese esplicitate talvolta con molta decisione. 

In questi casi vengono veicolati modelli ad alta efficienza, la cultura del primato, l’idea che ciò che conta è vincere, la logica della fossa dei leoni, l’idea di forza e di potenza: chi arriva secondo è un perdente.

Il minore sente il peso d’incombenze e di obblighi che teme di non poter soddisfare. Soprattutto pensa di dover soddisfare le richieste esterne, le attese genitoriali, piuttosto che i bisogni personali. In questi casi lo stress psicologico è piuttosto alto. 

Il mancato raggiungimento dello scopo dell’eccellenza è vissuto come una catastrofe, il fallimento del sé come persona, il determinarsi di un sé indegno, immeritevole.

In tutti questi casi la paura dell’errore testimonia l’alta valutazione che assume il rischio dell’imperfezione e persino della normalità. 

Il perfezionista non aspira alla normalità, ma a porsi al di sopra di essa perché solo in quel modo egli ritiene di potersi emancipare dalla propria presunta imperfezione.

Per concludere

L’auto criticismo non si coniuga solo con l’idea del perfezionismo. Ha a che fare anche con la non accettazione del sé. 

Percependosi inadeguato, imperfetto, difettoso, non amabile, gli individui timidi  hanno moti di rigetto del proprio sé, spesso, se ne vergognano. 

Ponendo sé stessi a confronto con gli altri, enfatizzano la mancanza d’inibizione di questi ultimi e giudicano con disprezzo la discrepanza tra il sé idealizzato o desiderato e quello che si manifesta.

L’insieme di questo disporsi negativamente verso sé stessi, la non accettazione del sé, determina la mancanza di autosoccorso. 

La persona timida, come tutti gli individui ansiosi, focalizza il pensiero critico sulle proprie presunte inadeguatezze, ponendosi come un osservatore esterno il cui compito è la dissacrazione. 

In questo gioco al massacro vengono a mancare alcuni elementi fondanti che permettono all’individuo di contestualizzarsi e giungere in proprio soccorso: la comprensione di sé, l’auto compassione, il confortarsi, il sostenersi, l’incoraggiarsi, l’amarsi.

L’inclemente autocritica, soprattutto quella inviperita, va spesso a cogliere, le credenze centrali disfunzionali che sottendono, o danno origine, al proprio disagio sociale, convalidandole in modo diretto. 

Ciò che è convalidato non sono solo le credenze centrali, ma l’insieme degli schemi cognitivi disfunzionali. 

Giacché l’autocritica si esercita attraverso la ruminazione e il rimuginìo, che sono strutture che caratterizzano lo stile metacognitivo, si alimenta e perpetua l’intero circolo vizioso delle ansie sociali. 

Altrettanto accade per il perfezionismo che si esprime, al tempo stesso, come credenza, come stile metacognitivo e come scopo.

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