La premessa.
 

La timidezza è una condizione mentale che percepisce, interpreta, valuta e prefigura gli eventi come momenti di rischio fortemente penalizzanti per sé stessi, che si manifesta, all’esterno, con comportamenti inibiti e rinunciatari, in genere accompagnati da stati d’ansia.

Pablo Picasso – il pasto del cieco

A determinarne e caratterizzarne le varie forme con cui si manifesta sono, da un lato, un apparato cognitivo disfunzionale, dall’altro i comportamenti abituali acquisiti e derivanti dalle disfunzioni cognitive.

Benché, nella maggior parte dei casi, le persone timide sanno di esserlo, essa viene percepita e considerata, a livello di consapevolezza, per via dei sentimenti negativi che provano verso sé stessi e gli effetti penalizzanti che vivono sulla propria pelle come conseguenza della propria timidezza.

Quando la persona timida tenta di dare una spiegazione logica alla sua condizione, lo fa costruendo la propria analisi con pensieri disfunzionali o su aspetti derivati. Ciò accade perché le credenze disfunzionali cui accennavo, risiedono ad un livello inconscio e pertanto non facilmente accessibile.

Le credenze si concretizzano per mezzo dei pensieri e, questi, si distribuiscono sostanzialmente su tre livelli di profondità. 

  1. Al livello più profondo corrispondono i pensieri che sono l’espressione delle credenze di base, queste hanno una funzione informativa, nei processi di valutazione degli eventi, e riguardano sé stessi, gli altri e il mondo. Questi tipi di pensieri sono generalizzati, incondizionati e sintetici.
  2. Al livello mediano abbiamo le credenze intermedie, hanno una funzione regolatrice e di gestione dei comportamenti, determinano modelli attuativi di riferimento, norme comportamentali. I pensieri che le esprimono vertono su questioni che riguardano l’accettazione di sé verso gli altri e viceversa, le proprie competenze e quindi le capacità di saper far fronte agli eventi, il controllo e quindi le regole del comportamento. Questi tipi di pensieri sono per lo più doverizzanti e giudicanti.
  3. Nel livello più prossimo a quello cosciente ci sono i pensieri automatici negativi. Sono involontari, contingenti, situazionali. Costituiscono la sintesi dei due livelli più profondi e determinano i comportamenti finali. I pensieri automatici negativi vengono alla mente e vi permangono per un tempo brevissimo, spesso si presentano sotto forma di immagini mentali.

Come dicevo all’inizio, la timidezza non è solo pensiero ma è anche comportamento che è l’insieme di quel che si dice e ciò che si fa. Gli individui timidi adottano i comportamenti tipici della loro condizione, in modo abituale e sistematico.
Proprio l’abitudinarietà fa si che i comportamenti finiscono col diventare automatici in quelle circostanze in cui il soggetto timido ha la consuetudine di agire allo stesso modo.

Infatti le persone ci interpretano sulla base di ciò che vedono e sentono e reagiscono ai nostri stimoli in conseguenza di tali interpretazioni.
Il comportamento è, dunque, lo strumento attraverso cui l’uomo comunica all’esterno per mezzo delle azioni, del linguaggio verbale e non verbale.

Il percorso

Per imparare a gestire la timidezza o a eliminarla, bisogna necessariamente intervenire sui suoi elementi fondanti: il sistema cognitivo e i comportamenti.
Questi interventi hanno efficacia solo se sono sistematicamente reiterati, se si creano cioè, nuove abitudini e automatismi sia nel pensare, sia nel comportarsi.

Il percorso di cambiamento consiste:

  • Individuare, e apprendere a farlo, le credenze di base. Un processo che passa attraverso la ricerca e l’analisi dei pensieri automatici negativi, quindi, partendo dai pensieri al livello più prossimo allo stato cosciente.
  • Le credenze di base e quelle intermedie, una volta individuate, vanno analizzate razionalmente e sostituite con convincimenti più consoni e funzionali nell’interpretazione della realtà. Credenze che devono essere in grado di poter cogliere una pluralità interpretativa.
  • Imparare a controllare le ansie non solo con l’esercizio razionale ricorrendo alle nuove credenze, ma anche con esercizi, tecniche di rilassamento e mindfulness.  In questo quadro si inserisce anche la “desensibilizzazione sistematica”.
  • Alla tecnica della desensibilizzazione sistematica, va affiancato un training assertivo. Utile sia per acquisire consapevolezza e capacità di gestione dei propri diritti, sia per apprendere tecniche nel relazionarsi agli altri.
  • Analizzare i propri comportamenti individuandone le caratteristiche non funzionali nella gestione delle relazioni e del rapporto verso sé stessi.
  • Individuare nuovi modi comportamentali ed esercitarsi nella loro applicazione. L’esposizione dal vero va, però, preceduta da esercizi simulati.

Insieme alla ripetitività dell’esercizio dei nuovi pensieri e dei nuovi comportamenti, bisogna anche tener conto che, l’intero percorso di cambiamento, deve essere all’insegna della gradualità: si affrontano prima le problematiche meno gravi, poi quelle che procurano maggiori disagi e stati d’ansia.
È bene anche prendere l’abitudine di esercitare le nuove credenze e i nuovi comportamenti ogni qualvolta ci si trova in quelle situazioni che fanno manifestare la timidezza.

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