Per comportamento s’intende quel che si fa e ciò che si dice.
Tutti quanti noi, riusciamo in modo più o meno oggettivo, a interpretare i tipi di sentimenti, emozioni, disponibilità relazionale, condizione umorale; attraverso la mimica facciale, la postura, la gestualità, gli sguardi, il tono della voce, il modo di parlare. Questa riconoscibilità di stati d’animo, in parte è appresa per via esperienziale, e in parte è innata.
Watzlawick afferma che non è possibile non comunicare: un individuo, qualunque cosa faccia, trasmette dei sensi e/o dei significati, e ciò indipendentemente dalla sua intenzionalità. Persino il non fare è comunicazione.
Comunemente si usa dire che il comportamento si apprende ma, soprattutto, a essere appresa è la cognizione del comportamento.
Benché l’ansia sociale sia una condizione mentale che fa riferimento a convinzioni interiori profonde (credenze) riguardanti sé stessi, gli altri e il mondo circostante, una persona ansiosa è riconoscibile – all’esterno – solo attraverso i suoi comportamenti. Ciò perché egli pone in essere il proprio percepirsi, o il percepire l’altro da sé, per mezzo di atteggiamenti corporei, azioni e linguaggio verbale.
Ogni comportamento costituisce l’espressione esterna di un processo cognitivo. Concretizza le scelte e quindi le decisioni dell’individuo.
Così come accade per alcune categorie di pensieri, molti comportamenti sono automatici. Diventano tali perché entrano nelle abitudini dell’individuo e quindi sono posti in essere in modo ripetitivo.
Nonostante ci sia sempre coscienza di un comportamento, in determinati casi un tale grado di consapevolezza viene a ridursi proprio per effetto dell’abitudine.
Gli ansiosi sociali sono riconoscibili anche perché utilizzano determinati comportamenti che, oltre ad essere abituali, sono anche tipici dell’ansia sociale.
Una persona timida tende a tenersi in disparte, a essere poco loquace, a fare scena muta quando è in gruppo, a evitare l’incontro con persone che non conosce o che gli interessano particolarmente, ad avere una vita solitaria o con pochissimi contatti.
Un individuo è timido, perché ha convincimenti profondi negativi (credenze) su di sé, che riguardano le proprie capacità, abilità, competenze, potenzialità, appetibilità, l’essere poco o per nulla attraente come persona, il non amabile, il non suscitare interesse da parte degli altri, il non sentirsi un pari degli altri.
È timido perché in conseguenza di queste credenze, egli sviluppa altri tipi di pensieri che lo descrivono come soggetto perdente o lo vedono come tale in ogni attività di previsione degli eventi.
È timido perché a conclusione di quest’attività di analisi, valutazione e previsione, egli determina dei comportamenti che riflettono fedelmente e rigidamente il proprio senso d’impotenza, d’incapacità, di fallimento.
L’ansioso sociale all’esterno, anche fuori dalle relazioni sociali, incurvando le spalle, ponendo lo sguardo fisso a terra, tenendo la testa abbassata, anche se inconsapevolmente e attraverso questa fisicità, “rappresenta” la propria condizione mentale.
Una volta che la condizione interiore di una persona timida acquisisce un linguaggio fisico esteriore, questo diventa il modo di essere nel mondo esterno a sé, la esternalizzazione corporea della timidezza diventa un fatto abituale, sistematico, automatico: si radicalizza in quell’individuo diventando il proprio carattere.
È proprio partendo da quest’ultima osservazione, che possiamo comprendere quanto sia difficile, per un soggetto timido, riuscire poi a cambiare comportamenti che si sono profondamente radicati nelle sue abitudini.
Nonostante ciò, è possibile cambiare queste abitudini, sostituendole con altre, attraverso un metodico impegno nel ripeterle con assiduità. Infatti, solo creando nuove abitudini, è possibile sostituire quelle vecchie.