Timidezza, fobia sociale e disturbo evitante della personalità hanno caratteristiche che sfumano spesso l’una nell’altra, sia per la tipologia delle paure, sia per la tipologia dei comportamenti che vengono posti in essere.

Paul Gauguin- les miserables

Benché queste forme di sofferenza differiscano tra loro per intensità, quantità e qualità dei fenomeni comportamentali e cognitivi che li caratterizzano, sono sovente considerate sinonimo l’uno dell’altro, soprattutto per quanto riguarda la timidezza e la fobia sociale.
Queste forme di sofferenza presentano, un comune gruppo di elementi cognitivi centrali, come la paura del giudizio altrui e la sottovalutazione dei propri mezzi in termini di capacità, abilità e attraibilità.

Nel DSM IV (manuale diagnostico dei disturbi mentali e della loro catalogazione) la dizione “disturbo d’ansia sociale” è utilizzata come alias di “fobia sociale”, ma il fatto che forme di disagio, come timidezza, fobia e disturbo evitante della personalità, abbiano in comune diversi fattori, spiega perché molti autori e ricercatori ricorrono alla locuzione “ansia sociale” come indicazione di una categoria più ampia, all’interno della quale, queste, possono essere distinte per mezzo di quegli aspetti che le diversificano.

Andrè e Legeron, ad esempio, considerano la categoria dell’ansia sociale come un continuum che va dalla semplice normalità fino alla patologia e, all’interno del quale, s’inseriscono e distribuiscono le varie forme di disagio sociale, in relazione alla dimensione e al livello patologico con cui si manifestano.

In tal senso l’ansia sociale viene a definirsi come un insieme di disagi che si manifestano in occasione delle situazioni in cui si è sottoposti, o ci si percepisce, come oggetto della valutazione e degli sguardi altrui e in cui s’innestano pensieri d’inadeguatezza.

Anche emozioni quali possono essere la paura di arrossire, lo stato d’angoscia, la vergogna, l’imbarazzo, vengono considerate come fenomeni rientranti nel raggio dell’ansia sociale.

Nel contesto di questa categoria, la timidezza è considerata una forma non patologica dell’ansia sociale. D’altro canto, nel DSM IV, non c’è alcun riferimento alla timidezza, proprio perché non è considerata una malattia anzi, da alcuni, è considerata come un normale tratto della personalità. Tuttavia, ci sono forme di timidezza, come quella cronica, che risultano essere particolarmente invalidanti nelle relazioni sociali.

Cos’è dunque un ansioso sociale?

È una persona tormentata da percezioni negative di sé che riguardano:

  • Le proprie capacità di far fronte agli eventi,
  • Le proprie abilità nel relazionarsi agli altri,
  • L’essere amabile,
  • L’essere interessante o attraente come persona, agli occhi altrui,
  • Le proprie potenzialità.

L’ansia sociale è sempre da riferirsi al sé come soggetto inserito in un contesto sociale, infatti, al di fuori del mondo delle relazioni sociali quest’insieme di forme di disagio non esistono. Il campo di riferimento è, quindi, la comunità umana.

L’ansioso sociale avverte sé stesso come inadeguato quando percepisce che sono in gioco, il suo valore personale all’interno del consesso sociale e le sue possibilità in ambito sociale, sia per quanto riguarda l’insieme delle attività di carattere produttivo e/o organizzativo, sia per quanto riguarda l’insieme delle relazioni di conoscenza, amicali o di coppia.

L’inadeguatezza rappresenta, pertanto, un fattore di rischio elevato che conduce a sprofondare nella solitudine, dell’esclusione, nell’emarginazione. D’altro canto, non bisogna dimenticare che ogni persona ha il primario bisogno, all’interno dell’insieme delle relazioni umane, di essere accettata, sostenuta emotivamente, di essere confortata nei momenti di sofferenza dell’umore, di essere rassicurata quando ha paura.

Il percepirsi negativamente induce l’ansioso sociale a temere fortemente tutte quelle situazioni in cui si è sottoposti allo sguardo e al giudizio degli altri, ciò perché la valutazione altrui di sé, è vissuta solo in termini di radicale bocciatura, di scadimento assoluto del valore di sé come persona nella sua globalità, come fallimento totale non solo nel presente ma che è predeterminato anche per il futuro.

La sottovalutazione di sé e la paura di essere giudicati negativamente, costituiscono un connubio che favorisce il formarsi della convinzione di essere osservati e giudicati

anche in modo aprioristico, aspetto che nella fobia sociale e nel disturbo evitante della personalità assume particolare consistenza, tanto che il comportamento evitante caratterizza significativamente e, in modo fortemente invalidante, lo stile di vita.

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