Con la nascita e l’affermazione del comportamentismo e delle teorie cognitive, si aprono nuovi scenari nella comprensione della mente umana e nei processi di apprendimento dei modelli di comportamento. I ricercatori di queste due scuole di pensiero della psicologia si resero ben presto conto che parte dei problemi collegati ai disagi sociali, relativi al mondo delle relazioni interpersonali, erano da addebitare a un mancato o insufficiente apprendimento di modelli di comunicazione.
Molti soggetti che vivono il disagio dell’ansia sociale, nelle sue varie forme, mostrano carenze nella capacità di comunicare in modo efficace, di esprimere emozioni e sentimenti, proprie idee e pensieri, di partecipare in modo attivo alle conversazioni. Tali carenze hanno posto in evidenza che gli individui soggiogati da queste condizioni, per lo più non sanno come operare, cosa e come dire, quali forme espressive usare, quando utilizzarle, quali sono i limiti e gli eccessi.
Dinanzi all’emergere di queste problematiche, la ricerca di forme terapeutiche che potessero farvi fronte, integrandosi con gli interventi di risanamento cognitivo e comportamentale, individuò i primi elementi fondanti dell’assertività.
Se Salter, nel 49, ne delinea il primo profilo, Wolpe – oltre a coniarne il nome e a dare una prima chiara definizione – ha il merito di concepirla come strumento complementare e comprimario nella terapia di ricostruzione cognitiva e comportamentale, egli infatti la associò alla tecnica della desensibilizzazione sistematica.
Giacché l’obiettivo primario della tecnica assertiva è quello di far apprendere dei modelli di comunicazione e comportamento, l’esercitazione è un elemento fondamentale del processo terapeutico di apprendimento, e la forma recitata è apparsa ai terapeuti il modo migliore di procedere. È così che nasce il psicodramma. Il paziente recita il ruolo di se stesso calato in situazioni tipiche in cui egli mostra disagio e sofferenza, e al contempo, vive tale performance da una condizione esterna a se stesso, in tal modo si vengono ad attenuare le tensioni emotive, gli stati d’ansia; il soggetto affronta i propri problemi nella gestione della comunicazione interpersonale con un livello di distacco emotivo che gli permette di vivere (e apprendere) in modo razionale il rapportarsi agli altri. La tecnica più usata, per l’esercizio individuale, è il cosiddetto “copione”; l’esercitante scrive un copione calato sulla sua condizione e lo recita.
Nel precedente articolo ho descritto i fattori concettuali che sono alla base della assertività, elementi ideali che non sono stati scelti per un programma politico o filosofico, ma perché proprio sul tema della libertà come libera espressione di emozioni, sentimenti, idee e pensieri, sul tema dell’amor proprio e la difesa dei propri diritti, sul tema della reciprocità come cultura del rispetto altrui, sul tema della responsabilità intesa come assunzione del proprio ruolo, su questi temi incidono pesantemente e negativamente i comportamenti e i pensieri disfunzionali.
In sostanza, l’assertività non si presenta in modo dissociato ora come tecnica terapeutica, ora come modello culturale, ma come sistema funzionale.
Anchisi e Gambotto Dessy scrivono: “L’assertività è una struttura concettuale di natura funzionalistica, finalizzata alla razionalizzazione della condotta con se stessi e verso gli altri……è una forma etica, il cui dominio dei valori è rappresentato dall’interpersonalità e non dal trascendente o dall’ideale.” (Anchisi R., Gambotto D., Non solo comunicare).
Nel mio libro “Il libro dell’assertività” ho scritto: “In diversi scritti a noi contemporanei c’è la tendenza, evidente o implicita, ad assegnare all’assertività una funzione di vera e propria “filosofia morale”. Questa logica, che esula dal nostro intendimento, rischia di trasformarla in una nuova regolamentazione morale del comportamento sociale dell’uomo, quasi a voler sostituire le logiche morali già esistenti e che, in quanto tali, hanno fortemente contribuito alla formazione di atteggiamenti inibiti, verso cui oggi, si è costretti a intervenire nel tentativo di ridurne il danno psicologico.”
Quel che a noi interessa, è l’assertività intesa non come movimento morale, che per sua natura detta leggi comportamentali e/o significati trascendenti assoluti, ma:
- Come strumento di liberazione dall’inibizione o l’eccitazione estensiva e/o invalidante;
- Come strumento di razionalizzazione, capace di operare con comportamento consapevole e dunque, sulla base di una libera scelta, non condizionata da valori esterni lesivi di un sano equilibrio interiore;
- Come strumento logico di mediazione tra le forme o gli eccessi nei comportamenti, e finalizzati alla salvaguardia possibile dei rapporti interpersonali.
Essere assertivi non significa rinnegare, rifiutare o modificare la propria personalità ma di guadagnare, con un cambiamento di abitudini, il gusto di essere spontanei, socialmente competenti e, allo stesso tempo, scoprirne il significato. (Luigi Zizzari, Il libro dell’assertività)
Nel prossimo articolo vedremo più compiutamente a cosa e a chi serve.