L’influenza del comportamento nella timidezza tra asocialità e solitudine – Seconda parte

L’influenza del comportamento nella timidezza tra asocialità e solitudine – Seconda parte

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Nella timidezza, e in ogni forma di ansia sociale, i comportamenti disfunzionali assumono carattere abituale e automatico finendo, così, con l’essere espressione del carattere del soggetto.

Margherita Garetti – Punti di vista

Dato che i comportamenti disfunzionali delle persone timide, sono il prodotto di processi cognitivi che generano emozioni di sofferenza e inibizione ansiogena, il carattere di tali individui assume tratti che non trova corrispondenza con i significati positivi che il gruppo o la comunità conferisce ai comportamenti sociali condivisi e loro corrispondenti modelli comportamentali. I comportamenti evitanti, di estraniazione, di distrazione, sono generalmente interpretati come indisponibilità all’interazione, non interesse ad appartenere al gruppo o alla comunità, tendenza alla discriminazione sociale (snobismo), disinteresse verso gli obiettivi comuni del gruppo o della comunità.

Tuttavia, il carattere emotivo dell’ansioso sociale viene percepito dagli altri. 

Quel che viene a mancare è la comprensione del collegamento tra il tratto caratteriale emotivo e le motivazioni comportamentali. In pratica le persone, non potendo accedere ai flussi di pensieri del soggetto timido, non potendo avvertire le sue emozioni interiori, valuta i comportamenti per ciò che appaiono e non per ciò che sono. Una difficoltà di c

L’influenza del comportamento nella timidezza tra asocialità e solitudine – Prima parte

L’influenza del comportamento nella timidezza tra asocialità e solitudine – Prima parte

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PRIMA PARTE

“Gli altri si stancano subito di me”, “gli amici non m’invitano”, “gli altri cercano sempre di evitarmi”, “gli amici organizzano le cose senza dirmi niente”, “oramai sto sempre in casa perché non ho nessuno con cui uscire”, “tutte le volte che tento di relazionarmi, è un fallimento”, “perché le persone mi evitano, cos’ho che non va?”.

Elisa Anfuso – solitud-es n1

Molti autori descrivono la timidezza come un tratto del carattere.  In effetti, una persona timida la si riconosce per mezzo dei suoi comportamenti. Qua vale la pena chiarire cosa sia il carattere e cos’è un comportamento.

Il carattere è l’insieme dei comportamenti abituali e tipici di una determinata persona.

Chiaramente, perché un comportamento sia abituale, deve essere adottato con sistematicità e frequenza.  I comportamenti non sono qualcosa di innato, bensì, si apprendono. Ciò significa che il carattere è un insieme di comportamenti appresi. È qui abbiamo sfatato un “mito” secondo il quale il carattere sia qualcosa di innato: nulla di più errato. È la storia di una persona (culturale, emotiva, relazionale) che determina il suo carattere. (altro…)

Scopo e antiscopo nelle ansie sociali

Scopo e antiscopo nelle ansie sociali

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Ho spesso sentito descrivere, da persone timide, il proprio comportamento come “indossare una maschera”, “recitare” un ruolo non proprio; una descrizione che rende bene l’idea dello stato emotivo che vivono gli ansiosi sociali e anche lo spirito che li spinge a comportamenti di protezione. La loro recita è forzosa e quasi sempre incontrollata. 

Domenico Dell’Osso – L affermazione è il punto di partenza il primo passo che apre la via al cambiamento

Infatti, se l’attore di teatro recita un ruolo facendo una scelta volontaria e quindi cosciente, egli è capace di controllare e modulare la propria recitazione; l’ansioso sociale quella maschera la subisce.  La recitazione della persona timida non è fluente, è impacciata, risponde a impulsi automatici.

Una ragione di ciò, sta nel fatto che i processi cognitivi e il comportamento dell’ansioso sociale, operano avendo come obiettivo l’antiscopo, cioè quello di evitare che avvenga ciò che si teme. 

La loro attenzione si concentra ed è finalizzata all’obiettivo di evitare anziché al fare. A conti fatti, piuttosto che perseguire gli scopi inerenti la propria realizzazione sociale, paradossalmente, e senza che se ne rendano conto, le persone timide, si pongono, come obiettivo, che il proprio scopo di socialità non avvenga. L’individuo timido indirizza la propria attenzione su ciò che giudica terribile e as

Il comportamento evitante

Il comportamento evitante

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Benché siano disagi o disturbi di origine cognitiva, la timidezza e le altre forme di ansia sociale, sono percepiti per gli effetti materiali che osservano e provano sulla propria pelle, nella loro interazione sociale, nei comportamenti che attuano e di cui sono coscienti della loro inefficacia.

Pere Borrel del Caso – in fuga dalla critica

Purtroppo, rendersi conto dell’inefficienza dei propri comportamenti non è, di per sé, sufficiente a rimuovere quei fattori deleteri che li producono.

Anzi, quasi sempre, le persone timide, nel tentativo di risolvere questi problemi, finiscono col cadere nelle maglie del rimuginìo, della ruminazione, della preoccupazione, della spietata autocritica, dell’assunzione di sensi, significati e regole, incoerenti con la vita reale, dell’interpretazione emotiva della realtà che si allontana dall’oggettività.

Gli individui timidi non si rendono conto di questo processo cognitivo “deviante” per cui assumono, come verità, quelle credenze e metacognizioni che sono all’origine del loro problema. In pratica, non fanno che confermare, validare e rinforzare, credenze e metacognizioni disfunzionali.

Questa validazione e rinforzo delle credenze di base, intermedie e delle metacognizioni (modalità del pensare), si verifica in particolar modo proprio a posteriori dell’attuazione di un comportamento disadattivo. L’inefficienza del compo

Ritrosia, riservatezza e timidezza

Ritrosia, riservatezza e timidezza

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Nell’immaginario collettivo, la timidezza è sinonimo di ritrosia. Benché tale peculiarità non sia visibile chiaramente in tutte le forme della timidezza, la ritrosia è un chiaro indicatore dell’emozione principale che caratterizza questo disagio sociale, la paura. È però anche l’espressione dell’esistenza di stati d’inibizione.

Salvator Dalì – La nascita di liquide paure

Relazionandola alle ansie sociali, possiamo definire la ritrosia come una risposta comportamentale indotta dalla percezione di una propria forte vulnerabilità che scaturisce dalla valutazione e interpretazione cognitiva di un evento o situazione.

Nel momento in cui, una persona timida, si percepisce vulnerabile rispetto a un contesto situazionale, un’esperienza o una condizione, si fa strada l’emozione della paura che predispone verso una strategia di fuga, la quale può rivelarsi in comportamenti evitanti, elusivi o di vera e propria defezione.

Il soggetto timido si sente nudo, privo di difese, trasparente agli occhi e alla valutazione altrui. Il suo timore più grande è che gli altri si accorgano delle inadeguatezze che è, consciamente o inconsciamente, convinto di avere. Con la ritrosia gli individui timidi tendono a tenersi fuori dal rischio di ritrovarsi al centro dell’attenzione altrui, di dover assumere ruoli, o esperire performance, che li espongono al rischio di valutazione da parte

Ansie sociali e timidezza: il comportamento evitante

Ansie sociali e timidezza: il comportamento evitante

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Sofia è insieme con amici e amiche, conversano, discutono, ma lei sente che gli altri sono tutti più intelligenti di lei, così se ne sta zitta.

Rene Magritte – la magie noire

Alberto ha il cuore in fermento per la donna di cui si è innamorato; lei è lì, a pochi passi. Lui vorrebbe approcciarla, ma alla sua mente giunge un’immagine che presuppone un rifiuto e inquadra le facce dei conoscenti che ridono di lui. Pensa: “Se mi va male, non posso più farmi vedere in giro”. Mesto mesto si allontana.

Ingrid vorrebbe fare un po’ di vita sociale, ma si sente esclusa, ha difficoltà a relazionarsi con gli altri, e anche con i suoi amici e amiche. Così sceglie di starsene rintanata nella sua cameretta a trascorrervi le sue giornate.

Oreste teme di arrecare disturbo nel relazionarsi con alcune persone, nonostante desideri farlo, se ne sta sulle sue, senza intervenire, distanziato da quel gruppo. Angelina è terrorizzata all’idea di arrossire, così se ne sta lontano da tutte le situazioni che ritiene possano metterla in tale spiacevole situazione. Matteo ha paura di sentirsi triste, fa di tutto per evitare di trovarsi in una condizione di tristezza. Anche se poi non ci riesce comunque. Sono alcuni esempi di comportamento evitante. Di fronte all’idea di una conseguenza negativa al proprio agire o di situazioni in cui possono diventarne attori, le persone timide, e gli ansiosi

Timidezza e auto sabotaggio

Timidezza e auto sabotaggio

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Nella timidezza l’auto sabotaggio si verifica in tutti i comportamenti e i pensieri non funzionali al raggiungimento dei nostri obiettivi. Tutti questi pensieri disfunzionali e i comportamenti conseguenti, al momento, possono apparire logici, oppure come immanenza dell’inevitabilità. 

George Grosz – Suicide

Spesso il prendere coscienza della disfunzionalità e del loro essere auto sabotaggio, avviene a posteriori, quando il dado è tratto e se ne vedono le conseguenze negative. In tali contesti possono susseguire due tipologie di pensieri, ambedue confermanti le credenze negative sottostanti. Una prima tipologia si può manifestare nella spietata autocritica con la sottolineatura delle proprie inadeguatezze, caratterizzate da frasi tipo, “non sono buono a niente”, “non faccio altro che combinare casini”, “ancora una volta ho dimostrato quello che sono, una nullità”, “faccio sempre stronzate”.  Nella seconda tipologia possiamo intravvedere i cosiddetti “pensieri razionalizzanti”, che tendono a giustificare i comportamenti che si sono avuti, in genere di evitamento, e che si verificano sempre a posteriori di una data situazione.  Faccio un esempio: Caio ha, come credenza di base, quella di non ritenersi amabile, ha sviluppato un pensiero doverizzante, secondo il quale, nella vita bisogna sempre essere accettati da tutti. Entra in un negozio per acquistare un pantalon

Quando il timido non cerca aiuto

Quando il timido non cerca aiuto

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Molte persone timide restano bloccate di fronte a difficoltà e a situazioni di problem-solving, per via dei loro pensieri emotivi.  Una tale condizione di stallo conduce spesso a comportamenti di rinuncia, di abbandono, di resa e a vivere emozioni negative come la tristezza o lo sconforto.

Jorn Asger – il timido orgoglio

Uno studente delle superiori, evita di porre domande all’insegnante su ciò che non ha capito, e uno studente universitario non se la sente di rivolgersi all’assistente per avere delucidazioni; un altro non osa nemmeno chiedere supporto ai compagni di studio; un impiegato non ha ben compreso cosa fare, ma si tiene ben lontano dal chiedere ulteriori chiarimenti; una persona che non riesce a orientarsi in città, non osa chiedere informazioni ai passanti; in un negozio di strumenti ottici, un individuo ha paura di chiedere spiegazioni sul funzionamento di una macchina fotografica.

Sono tutti casi di soggetti timidi che considerano, in chiave negativa e per varie motivazioni, la possibilità di chiedere aiuto o informazioni ad altre persone. Quest’atteggiamento non solo è radicato in tali individui, ma è anche foraggiato da opinioni e distorsioni cognitive che forniscono la struttura logica per la giustificazione e l’esecuzione di tali comportamenti.  Il suo divenire parte dal profondo, nell’inconscio, e con una concatenazione di processi cognitivi, raggiunge anche il
Quando l’evitamento della sofferenza diventa disfunzionale

Quando l’evitamento della sofferenza diventa disfunzionale

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Nella cultura umana è fortemente radicata l’idea che il raggiungimento della felicità sia maggiormente disponibile evitando la sofferenza. Un tale concetto ha una sua validità nella misura in cui l’evitamento della sofferenza non dia luogo a una cognizione dogmatica e a comportamenti, da essa discendente, che determinano una sorta del “non vivere”.

Carrie Ann Baade – mare di lacrime

Portata alle sue estreme conseguenze, quest’idea conduce a un’implicita negazione della sofferenza come fattore intrinseco e propria della vita umana.  Pensare che la vita sia possibile senza patemi è come negare il principio della gravità mentre un elefante sta precipitando sulla nostra testa. Conseguenza dell’idea d’evitamento della sofferenza è l’assunzione di pensieri e comportamenti di controllo nei confronti delle esperienze.

Tali assunzioni, sono talmente considerate desiderabili, che l’attuazione di strategie di controllo attraverso pensieri e comportamenti, orientati all’evitamento della sofferenza, sono apprese e incoraggiate negli ambienti sociali e sono ampiamente divulgate nella letteratura passata e presente, nelle arti visive e persino nelle pratiche farmacologiche.

Possiamo osservare che, nella timidezza e in altre forme di ansia sociale, le strategie di controllo per l’evitamento della sofferenza, trovano applicazione assidua e sistemica. È una delle r

La non assunzione di responsabilità nella timidezza

La non assunzione di responsabilità nella timidezza

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Ogni nostra azione è una scelta, anche quando non si agisce, in realtà, si compie una scelta.  Quando si evita una situazione, o la si elude, o si sceglie la fuga, oppure ci si estranea, si opera una scelta, quella di non avere un ruolo attivo nel sistema di relazioni interpersonali.

Rene Magritte – la cuccetta incosciente

La non decisione è una scelta rinunciataria, passiva, tuttavia, essa non perde, né evita la comunicazione, semplicemente perché come dice Watzlawick, non è possibile non comunicare, qualsiasi cosa si faccia o non si faccia, si comunica, indipendentemente dalla nostra volontà.

I comportamenti di rinuncia hanno, intrinsecamente, una peculiarità sociale: la non assunzione di responsabilità verso sé stessi e verso gli altri.  I comportamenti evitanti e gli altri similari, hanno l’obiettivo di non assumere il rischio dell’interazione sociale, pertanto, nel caso in cui gli eventi non sono favorevoli, si rifugge dalla possibilità di dover fare i conti con gli altri o con la propria persona, con gli scheletri nel proprio armadio. Di ciò l’ansioso sociale non ha consapevolezza poiché si tratta di processi automatici. Il soggetto timido si preoccupa soprattutto di ciò che appare evidente alla sua attenzione, quindi l’ansia fisiologica ed emotiva, le emozioni come la vergogna e la paura.  Nel continuo limitarsi, nascondersi, privarsi, egli c