Prima Parte
Introduzione
Nelle persone timide, e negli ansiosi sociali in generale, si attivano degli schemi cognitivi , in modo prolungato e ripetitivo, tali da poter essere considerate modalità. In questi soggetti, tali modalità vertono sui principi di vulnerabilità e pericolo.
Nel momento in cui, una credenza di base esprime una definizione del sé come deficitaria in uno o più ambiti delle proprie capacità o potenzialità, il soggetto timido si percepisce vulnerabile rispetto a quelle tipologie di eventi o situazioni che ne evocano le carenze.
In altre parole possiamo dire che un individuo si sente vulnerabile quando si percepisce esposto a pericoli sui quali ritiene di non aver controllo o di non possedere adeguate capacità di controllo.
Se le credenze di base rimandano al senso di inadeguatezza, questa si riscontra anche nei pensieri automatici negativi e, in questi, sono preminenti i temi di pericolo e sottovalutazione dei propri mezzi.
Giacché la timidezza e le altre forme di ansia sociale manifestano le loro problematicità all’interno del mondo delle relazioni umane e sociali, i principi di vulnerabilità e di pericolo, sono da collocare nel rapporto tra l’individuo e il mondo sociale, nelle capacità individuali a gestire tale rapporto, nelle conseguenze negative derivanti da una gestione inefficace delle relazioni sociali.
Gran parte dei problemi di base ruotano intorno a tre temi principali: accettazione, competenza e controllo.
Per ciascun tema, e in relazione alla specificità individuale, le persone ansiose in generale costruiscono ed elaborano un insieme di assunzioni e norme.
Queste credenze intermedie costituiscono uno schema sequenziale di idee o pensieri che nascondono e proteggono le convinzioni di base.
Nell’esempio grafico a spirale di Emery, appare evidente l’impronta consequenziale della costruzione logica e sono ben riconoscibili assunzioni, doverizzazioni , condizionali implicite e la credenza di base da cui si origina la spirale.
Il problema dell’accettazione
Quando la credenza di base di un soggetto timido, è inerente a un’idea di imperfezione (“sono sbagliata”, “sono brutto”, “sono inferiore agli altri”), il suo problema centrale è l’accettazione, essere cioè, appetibile, interessante, attraente, amabile dagli altri.
Il suo problema diventa quello di essere benvoluto da tutti, di piacere a tutti. La formazione di questo tipo di preoccupazione è, generalmente, di origine ambientale. Secondo la teoria dell’attaccamento, questo problema è originato da genitori che gli sono apparsi disattenti, ostili, distanti, non disponibili o che hanno avuto uno stile genitoriale molto autoritario.
Gli individui timidi con problemi di accettazione concentrano spesso la loro attenzione sui loro difetti o presunti tali, e hanno paura che questi siano visibili agli altri.
L’idea che la loro imperfezione possa essere scoperta li induce a porre in atto comportamenti di evitamento o di elusione.
Giacché la loro paura principale è quella di essere rifiutati, hanno la tendenza a esagerare dimensione e significato del rifiuto.
Quest’ultimo, soprattutto nei casi di fobia, giunge a corrispondere a conseguenze catastrofiche. Accettazione e rifiuto hanno valenze assolute, per questo l’essere accettati costituisce un obiettivo essenziale e obbligatorio.
L’idea del rifiuto e dell’accettazione spingono queste persone a verificare continuamente se sono accettate dagli altri, studiano anche con modalità rimuginative le risposte comportamentali provenienti dagli altri, ciò anche perché le opinioni altrui influiscono notevolmente sulla loro autostima.
Ciò nondimeno, in alcuni casi, il percepirsi come non accettati socialmente può indurre sentimenti di rancore o di disprezzo verso gli altri.
Talvolta si sentono vittime anche in mancanza di elementi concreti che possano dimostrare una tale condizione ma che a loro appare evidente; così come capita che i sentimenti di disprezzo o di rancore, si manifestano attraverso l’idea di una propria superiorità nei confronti di un mondo di persone votate alla superficialità, assoggettati a decadenti modelli etici e culturali.
L’ossessione dell’accettazione sociale li spinge anche a logiche interpretative che, in molti casi, rasentano l’invadenza in eventi e situazioni che nulla hanno a che vedere con la loro esistenza.
Un esempio tipico di questi casi è quello di chi si sente offeso e volutamente escluso da feste o incontri cui non è stato invitato; si sente ignorato, trascurato, attribuisce loro intenzioni negative.
In questi casi hanno spesso assunzioni le cui norme comportamentali fanno riferimento, in modo diretto o in senso lato, al cosiddetto “mito dell’amico”, essi ritengono cioè, che amici e conoscenti abbiano l’obbligo morale di tenerlo in considerazione in ogni caso: a questi soggetti non viene minimamente in mente che le altre persone possano avere una vita propria e indipendente.
Altre persone per rispondere al problema dell’accettazione tendono ad avere una grande quantità di relazioni di conoscenza o amicizia generica.
Hanno spesso comportamenti passivi, hanno paura di opporre rifiuti agli altri, di dire “no” alle richieste che gli giungono, anche quando queste li danneggiano, evitano i confronti serrati, di esprimere delle critiche, evitano cioè, qualsiasi comportamento che, a loro parere, possa compromettere i rapporti con le persone e comportare perdite di relazione.
Essendo ossessionati dal problema dell’accettazione, i soggetti timidi danno molta importanza alle valutazioni provenienti dagli altri; nelle loro assunzioni possiamo ritrovare convincimenti secondo cui l’accettazione da parte degli altri sia necessaria per il proprio benessere o addirittura essenziale per la propria vita; questa, la ragione per la quale il successo sociale e l’ammirazione proveniente dagli altri, assumono grande valore e importanza: oltre tutto, ciò comporta in loro, il rafforzamento della propria autostima.
Tipiche assunzioni sono del tipo: “devo essere accettato dagli altri, se voglio riuscire nella vita”, “se non mi amano non sono nulla”, “se vengo rifiutato la mia vita è inutile”, “devo piacere agli altri”, “se mi criticano vuol dire che mi rifiutano”. Spesso regole e assunzioni legate al problema dell’accettazione sono correlate all’idea che i migliori giudici di sé e dei propri interessi siano gli altri.