La timidezza è una condizione mentale, relativa al mondo delle relazioni sociali, che fa riferimento a convinzioni interiori profonde riguardanti sé stessi, gli altri e il mondo sociale, e le cui visioni sono negative o pessimistiche.

George Grosz – vittima della societa

A livello cosciente la persona timida pensa e ragiona condizionato in modo sistemico e vincolante da convincimenti interiori. I suoi pensieri sono funzionali a queste credenze e tendono a giustificarle, assecondarle e confermarle.

Tutto ciò accade senza che vi sia consapevolezza, in quanto tale influenza si verifica in modo inconscio. Naturalmente il soggetto, non essendo cosciente di questo processo cognitivo, considera i suoi ragionamenti come logici, sensati, persino scontati ed è evidenti. Egli si ritiene perciò nel giusto nell’elaborazione delle proprie considerazioni riguardanti sia sé stesso, sia tutto ciò che è altro da sé.

Quando l’individuo timido si trova a fare i conti con le conseguenze della propria condizione, non può esimersi dal fare delle valutazioni sulle cause di quello stato di cose, o nell’individuazione di eventuali colpe derivanti dall’interazione sociale.

Le attribuzioni di causa che scaturiscono da questa ricerca, tendono sempre ad una lettura del fenomeno che non contrastino con le credenze di base, poggiano spesso sulle apparenze esteriori, su interpretazioni emotive, su logiche giustificanti.

Essendo condizionate dalle credenze, sono ovviamente fuorvianti e variano da soggetto a soggetto. Dipende dal modo di percepire sé stessi e gli altri, ma anche dalla tendenza inconscia ad una non assunzione di responsabilità.

La propensione alla non assunzione di responsabilità è un modo, del sistema cognitivo, di trasferire il problema – e quindi la sua soluzione  – a ciò che è esterno da sé e, pertanto, non dipendente o riconducibile alla propria persona. 

Questa deresponsabilizzazione di sé, ottiene lo stesso risultato che si ha con il ragionamento frutto di un’altra distorsione cognitiva quale è la personalizzazione: non far entrare in conflitto o a contatto le credenze di base con lo stato di consapevolezza. Infatti, se accadesse, le convinzioni profonde coinvolte andrebbero incontro al rischio dell’invalidazione.

Il sentimento di sentirsi incompresi, isolati, di far parte di un mondo “altro”, che spesso si fa strada nei pensieri delle persone timide, crea una frattura tra sé e ciò che è esterno a sé. Fattore questo che favorisce i ragionamenti emozionali. 

Nel momento in cui l’attribuzione di causa trasferisce all’esterno gli effetti di causalità e induzione, il formarsi di sentimenti di rancore o di odio, sono alla portata di uno schiocco di dita.

Il risultato di questo processo è facilmente riscontrabile nei ragionamenti auto giustificativi, frutto di astrazioni selettive e/o di generalizzazioni eccessive che vedono una società composta da persone false, egoiste, superficiali, consumiste, insensibili, che hanno perso il senso dei valori, proiettate verso la cultura dell’apparenza e della materialità, simboli di una società decadente.

Ciò non significa che io voglia negare l’esistenza di aspetti negativi della società contemporanea che pure ci sono e anche universalmente riconosciuti. Il problema sta nel fatto che ciò che è esternamente apparente, visibile o constatabile, diventa argomento strumentale al servizio di moti cognitivi di autodifesa.

Se è vero che la società in cui viviamo interferisce nella nostra vita, è anche vero che buona parte delle nostre venture o sventure dipendono da come ci rapportiamo agli eventi, cioè da come li interpretiamo, da come interpretiamo noi stessi nei confronti degli eventi, dal modo con cui reagiamo agli stimoli che ci pervengono.

Condividi questo articolo: