Il rapporto che gli individui timidi hanno con l’esposizione è decisamente conflittuale, infatti, il comportamento più frequente di una persona timida, è l’evitamento, cioè la negazione dell’esposizione stessa.

Cosa rappresenta, per un individuo timido, questo tipo di atteggiamento?

Dalì – uomo con complesso delle malattie

A coloro che vedono questi atteggiamenti dall’esterno, siano essi persone comuni o studiosi della mente umana, appaiono come momenti di fuga da circostanze e realtà che fanno paura.

Per un soggetto timido è invece una soluzione necessaria, la liberazione da un incubo, la fine dell’ansia, ma allo stesso tempo, la dimostrazione della propria presunta scelleratezza. Egli è, infatti, quasi sempre pienamente cosciente della propria condizione, e delle limitazioni che questa apporta alla sua vita.
Una consapevolezza che, paradossalmente, accentua la disistima di sé e le convinzioni negative, riguardanti se stesso, che affollano la mente.

Per chi è intrappolato in questo stato mentale, l’essere esposti a una situazione ansiogena, costituisce un grave pericolo: il rischio di giudizi negativi da parte degli altri, di essere respinti, emarginati, di apparire deboli di carattere e personalità, il rischio di rendere palese all’esterno proprie presunte inabilità, incapacità, immeritevolezza, minorazioni o imperfezioni di vario tipo.

Timori che da un lato esprimono bisogni di affettività, di accettazione e riconoscimento sociale, dall’altro, costituiscono il riflesso di ciò che si pensa della propria persona, la paura che dal mondo esterno venga una conferma, secca e inappellabile, della percezione personale del sé.

Eppure, a conti fatti, è proprio l’esposizione lo strumento più efficace per liberarsi di tali paure. Esponendosi, quindi, affrontando quei timori che generano gli stati ansiosi, è possibile scardinare e sostituire quell’insieme di credenze invalide ma mai abbandonate dal sistema cognitivo, modificare quei comportamenti rinunciatari, che costituiscono non solo, un ostacolo alla vita sociale, ma anche la negazione all’apprendimento di nuovi modelli comportamentali più confacenti alla realtà che si vive.

L’evitamento dell’esposizione è la scelta di un comportamento che costituisce l’atto finale di un processo che è iniziato a livello cognitivo. Un processo che si suddivide in tre fasi principali, la valutazione dello scenario e delle proprie capacità e possibilità operative, la previsione degli esiti di un comportamento desiderato, l’attuazione di un comportamento considerato congruo dal sistema cognitivo.1

Tutta questa dinamica scaturisce dal sistema cognitivo e da abitudini comportamentali ben consolidate. Le credenze che si hanno su se stessi, condizionano in modo vincolante l’intero processo cui ho accennato poc’anzi, è chiaro che quando la valutazione delle proprie abilità è di segno negativo, inevitabilmente, le previsioni degli effetti conseguenti un comportamento desiderato, non possono che essere negative a loro volta; ne consegue la scelta di una strategia operativa che non soddisfa alcuna azione sospirata, ma anzi la nega con l’attuazione di un atteggiamento di fuga qual è, appunto, l’evitamento.

L’abitudine nell’esercitare comportamenti di evitamento, rendono più facile la loro attuazione, in quanto l’atteggiamento abituale risulta essere quasi istintivo e, essendo ben sperimentato, è anche una garanzia di successo della strategia di fuga. A rendere ulteriormente vincente l’evitamento intervengono anche due fattori, da una parte l’apparato cognitivo che deve confermare la validità delle proprie credenze coinvolte in quella data situazione, dall’altra, la dissoluzione dell’ansia una volta che tale comportamento è stato attuato.

Purtroppo, la fuga dall’esposizione rafforza ulteriormente i convincimenti negativi che si hanno su se stessi, consolidando sempre di più, quella prassi comportamentale che finisce con l’essere una vera e propria prigione. 

 

________

Note:

nota 1: Luigi Zizzari – Addio timidezza – ed ilmiolibro

Condividi questo articolo: