Ci sono persone in cui si manifesta il loro essere timidi quando devono affrontare situazioni come il dover sostenere un esame, un colloquio di lavoro, quando devono esporre progetti o relazioni dinanzi a un pubblico o a dirigenti, quando devono esprimere pareri e idee, quando devono esibirsi in manifestazioni artistiche e culturali o anche sportive, quando è proiettato nella determinazione di un rapporto di coppia, nelle situazioni in cui deve instaurare nuove relazioni amicali, quando viene a trovarsi in rapporti sessuali.

Max Ernst – la caduta dell’angelo

Mi riferisco, quindi, a tutte quelle attività in cui il soggetto timido avverte il peso di dover dimostrare il proprio valore, le proprie capacità, abilità, competenze.
Tutte queste persone sono accomunate da una paura di base: il giudizio degli altri.

Per loro, l’essere giudicati negativamente, significa andare incontro a conseguenze che giudicano catastrofiche, che si traducono in isolamento sociale, nel rifiuto degli altri verso la propria persona, l’essere discriminati sia nelle relazioni amicali, sia nel mondo del lavoro, sia nel mondo delle attività sociali in generale.

L’essere umano è un animale sociale, in tale veste, egli afferma se stesso attraverso la piena integrazione nelle attività e nelle relazioni che si svolgono all’interno della comunità e nei contesti cui fa riferimento.

Le persone timide, come ho già scritto in altre occasioni, ritengono che il giudizio negativo altrui sia sostanzialmente una bocciatura totale e assoluta della propria persona in quanto tale, tendono a escludere che eventuali valutazioni negative possano dipendere da episodi isolati o contingenti, da incidenti di percorso, da circostanze specifiche o particolari.

Chi è soggetto dalla timidezza da prestazione, può manifestare i sintomi dell’ansia ben prima che l’evento accada, anche con giorni di anticipo (ansia anticipatoria).

L’individuo timido, all’idea della prestazione, contrappone la previsione di una performance destinata al fallimento. 

Da quest’idea, che spesso si esprime sotto forma d’immagini mentali, egli fa discendere l’inevitabilità del giudizio negativo da parte degli altri e della conseguente esclusione sociale.

L’oggetto di questi giudizi negativi coincide, sistematicamente, con l’idea che la persona timida ha di sé stessa: è come se gli altri fossero la sua immagine riflessa.

Nella realtà individui timidi non hanno consapevolezza dell’intero processo cognitivo che si svolge nella propria mente, infatti, si tratta di pensieri automatici negativi, di credenze di base o intermedie dislocati fuori dalla portata dello stato cosciente imminente. Egli non coglie la dinamica del fenomeno cognitivo, né la concatenazione dei livelli di pensiero coinvolti.

In questo contesto sono di casa le distorsioni cognitive e le doverizzazioni, le credenze regolanti come ad esempio la tendenza al perfezionismo, le credenze condizionali caratterizzate dalla tendenza a ritenere necessario un assoluto consenso da parte degli altri.

Le credenze di base da una parte fanno riferimento a un percepirsi incapaci, inabili, falliti, per un altro verso afferiscono al convincimento che il valore della propria persona sia una funzione variabile e dipendente dalla valutazione e accettazione altrui. È proprio in ragione di queste convinzioni che entrano in gioco i pensieri doverizzanti che impongono standard di prestazioni molto elevate e in certi casi persino impossibili, esempi di questi tipi di pensieri sono:

  • Devo fare tutto ciò in modo perfetto (doverizzazione).
  • Se le cose non vanno come devono andare, è la fine (doverizzazione, dicotomia, catastrofizzazione).
  • Non devo assolutamente sbagliare (doverizzazione).
  • Se ricevo delle critiche, sono un fallito (dicotomia, catastrofizzazione, astrazione selettiva).
  • Sarebbe davvero terribile se le cose non andassero bene (catastrofizzazione, dicotomia).
  • Se faccio un solo errore, è meglio che non mi faccio più vedere in giro (doverizzazione, catastrofizzazione).
  • Se sbaglio, cosa penseranno gli altri di me? (astrazione selettiva).
  • Se non ci riesco, lei/lui penserà che sono una nullità (dicotomia).

Il verificarsi di un insuccesso, di una performance non perfetta o deludente, costituisce per la persona timida, una bocciatura su tutta la linea, un fattore dimostrativo di proprie incapacità, incompetenze, inadeguatezze; ma ciò che la spaventa di più, è che queste presunte qualità scadenti, siano esteriormente visibili, evidenti, dimostrative di un valore di basso profilo che permea l’interezza della persona. L’emergere di una tale risultanza, che per l’individuo timido implica l’inevitabilità del giudizio negativo altrui, significa l’automatico sancire non solo del proprio fallimento sociale e umano, ma anche una condanna all’esclusione e alla solitudine.

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