Con il cognitivismo cambia il modo di pensare la mente. Fino agli anni 50 il pensiero psicologico è dominato da due indirizzi di ricerca principali:

Joan Miro – La nascita del mondo

Uno indaga i processi mentali e propone l’esistenza di un’identità interiore (io inconscio) contrapposta a una cosciente, un io inconscio inaccessibile, i cui sistemi funzionali possono essere rintracciabili solo attraverso tecniche come l’interpretazione dei sogni, l’analisi delle libere associazioni d’idee e di lapsus. Si propone quindi una netta separazione tra io cosciente ed io inconscio che può solo essere raggiunto con l’intervento di una persona esterna al soggetto da analizzare. L’individuo dunque non è in grado, da solo, di cogliere le istanze provenienti dal proprio mondo interiore.

L’altro indirizzo è proiettato verso lo studio del comportamento. In questo tipo di approccio è predominante la tendenza a un’analisi scientifica dei fenomeni, che devono essere misurabili, visibili e ripetibili. Il comportamento è l’unico fattore umano conoscibile e verificabile in modo certo e su cui la sperimentazione produce risultati visibili.

I cognitivisti, indagando sui processi mentali, hanno un approccio diverso nel modo di concepire l’identità e la sua formazione. L’io inconscio non è visto come una funzione contrapposta allo stato cosciente, ma come un insieme interpretativo del mondo reale che lambisce lo stato cosciente e che in talune circostanze o ambiti ne fa parte, si tratta di un insieme interpretativo che, diversamente dalle scuole di pensiero precedenti come la psicoanalisi, è individuabile e modificabile dallo stesso soggetto che lo partorisce. Ciò implica anche un ruolo diverso dello psicologo che non è più chiamato a essere l’interprete unico o privilegiato dei moti interiori della mente.

Grazie anche alla ricerca neurobiologica, il concetto di sistema cognitivo abbandona l’idea dei poli contrapposti tra inconscio e conscio. Mentre l’inconscio è l’espressione di processi neurologici che operano in parallelo, in modo simultaneo, il conscio è costituito da processi operanti in modo sequenziale: hanno tempi operativi diversi e soddisfano funzioni diverse. Il sistema cognitivo è l’elemento mediano tra l’apparato neurologico e il comportamento. È il fattore di mediazione tra il sistema biologico (che produce fenomeni elettrici e chimici) e il comportamento deputato all’interazione pratica con l’ambiente circostante.

L’uomo ha bisogno di raggiungere i suoi scopi che Weiner definisce come l’insieme che costituisce il sistema di motivazioni dell’individuo.

Per perseguire questi obiettivi l’essere umano ha la necessità di acquisire quelle informazioni indispensabili che lo mettano nelle condizioni adeguate per centrare gli scopi preposti.

Questa necessità viene attuata dalla mente che, sin dalla nascita dell’individuo, costruisce un insieme d’ipotesi interpretative della realtà attraverso un processo di apprendimento che si realizza per mezzo delle esperienze vissute in modo diretto o indiretto, attraverso gli organi sensoriali, le emozioni, l’interazione fisica, gli strumenti comunicativi disponibili, l’osservazione, la percettività, l’interazione con le persone di riferimento primarie, con gli altri, con il contatto col mondo fisico che lo circonda.

Queste ipotesi interpretative, schemi di memoria dette anche credenze, servono a informare l’individuo su sé stesso, sugli altri, sul mondo circostante. Informazioni che il sistema utilizza per valutare gli eventi, le proprie possibilità e capacità operative per far fronte a tali eventi, per prevedere gli sviluppi e le conseguenze di quei momenti contingenti, per prevedere gli esiti di proprie ipotetiche azioni in risposta agli stimoli pervenutagli dalle situazioni del momento, determinare il comportamento da attuare ritenuto più idoneo per rispondere alla situazione e soddisfare i propri obiettivi.

Le credenze così costituitasi sono soggette a un continuo rimodellamento per far sì che esse siano sempre più aderenti alla realtà, in questo modo il sistema aggiorna la propria capacità di leggere il mondo reale per permettere alle attività di valutazione e di decisione di diventare sempre più efficaci per perseguire i propri scopi. Questo processo di valutazione detta invalidazione consiste nella verifica della validità della credenza sottoposta a tale valutazione.

L’invalidazione, di per sé, non sostituisce la credenza, la abroga soltanto, spetta al sistema sostituirla con una che corrisponda ai criteri di validità. Ciò implica che al momento dell’invalidazione di una determinata credenza, il sistema si ritrova a essere privo di uno schema interpretativo, esso ha un vuoto di conoscenza che lo pone nella condizione di non essere in grado di elaborare valutazioni e strategie di comportamento per far fronte a quegli eventi che coinvolgono lo schema di memoria invalidato.

Nella realtà un sistema cognitivo abituato e allenato a un proprio continuo processo di adeguamento, acquisisce un buon livello di elasticità e rapidità nell’elaborare nuove credenze, e questo non lo pone mai una condizione vera di crisi nelle attività di valutazione, previsione e decisione.

Dato che l’individuo costruisce i propri schemi di memoria in base alla propria esperienza di vita, i dati interpretativi di conoscenza che raccoglie sono influenzati dalle circostanze; ciò significa che il tipo di emozioni provate che sottendono l’esperienza, determinano il modello interpretativo elaborato, il che implica il concreto rischio di non oggettività nell’interpretazione del dato reale.

Quando una credenza si forma sulla base di un’interpretazione non oggettiva, essa non è aderente alla realtà, e dunque fornisce all’intero processo dell’attività cognitiva, dati di conoscenza errati, di conseguenza, tutto ciò che ne discende risulta falsato, inefficace, dannoso.
Una credenza disfunzionale, non rappresentando il vero, produce una sequenza a cascata di errori che sfociano in comportamenti disfunzionali.

Questo è quello che accade nei soggetti ansiosi e quindi nelle persone timide.

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