Oggi vi parlo di un aspetto particolare cui i timidi e gli ansiosi sociali non fanno caso sia nell’esperire i processi cognitivi e metacognitivi, sia a posteriori di questi.
In più occasioni ho parlato di quanto gli ansiosi sociali e le persone timide abbiano bisogno di adottare strategie di controllo nel tentativo di governare gli eventi.
Preciso che quando parlo di convinzioni, metacognizioni, credenze, cognizioni, pensieri, mi riferisco a elementi disfunzionali, soggiogati dalle dinamiche proprie delle ansie sociali; non sono messe in discussione potenzialità e capacità logiche, mi riferisco a processi emozionali della mente.
Quella del controllo è una funzione che viene adottata in relazione a tre fattori principali.
Il primo fattore è l’intolleranza all’incertezza, quindi, la necessità di evitare ogni forma d’incertezza, di ambiguità, di neutralità.
La persona timida adotta un modello dicotomico della realtà, ha bisogno di certezze: tutto ciò che è intermedio tra gli opposti, è vissuto come predittore di negatività. A lei non piacciono le situazioni incerte, ambigue, neutre; avverte il bisogno di sapere con che cosa deve misurarsi e cosa deve evitare. Ecco perché il controllo diviene una strategia di primaria importanza.
Qua entrano in gioco una metacognizione e una doverizzazione che possono esprimersi, contemporaneamente, con un unico pensiero del tipo: “È utile e si può controllare il corso degli eventi in modo perfetto”.
In pratica, da una parte si determina la convinzione che il controllo degli eventi, sia possibile con assoluta efficacia; dall’altra si manifesta la certezza di poter fare ciò che, nella realtà, è possibile solo entro certi limiti.
Gli ansiosi sociali nel perseguire l’antiscopo, cioè evitare, a ogni costo, ogni possibile danno senza perseguire gli scopi desiderati, assumono l’obiettivo del controllo assoluto. In certi casi, e soprattutto in coincidenza con la tendenza al perfezionismo, il bisogno di controllo implica il ritenere che l’onnipotenza possa essere raggiunta e, soprattutto, che sia la regola.
Il secondo fattore è la ricerca di elementi che possano convalidare le proprie presunte convinzioni negative su sé stessi o sugli altri, operazione che è svolta attraverso l’interpretazione dei comportamenti altrui.
In alcune occasioni ho descritto il soggetto timido utilizzando la metafora del ladro che, percependosi tale, si sente riconosciuto e smascherato da qualsiasi individuo che incontra per strada. È, in un certo senso, quello che fa nelle sue attività di monitoraggio degli altri: nel loro modo di guardare o comportarsi nei suoi confronti egli vede riflessi tutte le sue presunte inadeguatezze e imperfezioni.
In altri termini egli si sente trasparente.
Nella realtà, vede quello che la sua mente vuole vedere e che corrisponde ai suoi timori e alla sua credenza.
Nel terzo fattore il controllo è rivolto verso le proprie esperienze interne. In ogni forma di ansia sociale la focalizzazione su sé stessi è considerato necessario. Qua si fa strada la convinzione che monitorarsi con costanza serve a capirsi meglio e con chiarezza.
La funzione del controllo è finalizzata all’ottimizzazione delle capacità predittive in modo da permettere all’individuo di fronteggiare in modo efficace le situazioni e gli eventi; di per sé, non costituisce un fattore disfunzionale; ma lo diventa quando determina una focalizzazione selettiva in cui l’attenzione si rivolge a un campo assai ristretto delle possibilità interpretative e indirizzate alle polarità negative, quando è generatrice di ragionamenti pseudo diagnostici, quando conduce al rimuginìo.
Quest’ultimo, infatti, sembra essere l’attività cognitiva elettiva dei processi di controllo.
Quando il soggetto timido entra nella spirale del rimuginìo e della ruminazione, mette in moto dei circoli viziosi: quello dell’infalsificabilità per via delle conferme della validità delle cognizioni disfunzionali; della terribilità dell’antiscopo (che però viene perseguito); dell’autostima.
Il campo fortemente ristretto imposto alle focalizzazioni e ai processi rimuginativi, destinano al fallimento il tentativo di controllo dei soggetti timidi, i quali finiscono col percepirsi ulteriormente inadeguati, a sviluppare sensi di colpa e a ridurre la propria autostima.
Nell’azione di controllo svolto dagli ansiosi sociali, assistiamo a una crescente perdita di consapevolezza, di chiarezza interpretativa, di oggettivazione della realtà, fortemente affievolite dalle focalizzazioni selettive e dal loro indirizzo verso le polarità negative.
Così il controllo determina una mancanza di controllo effettivo.
Il risultato è che l’interpretazione delle esperienze, degli eventi e delle situazioni si allontana dalla realtà oggettiva. Di conseguenza, le valutazioni previsionali sono tutte spostate sulle polarità negative e determinano, infine, scelte di comportamenti evitanti.
A conti fatti, la pretesa di avere un controllo assoluto sui fatti con la conseguente focalizzazione ossessiva produce dei fallimenti: il controllo ha determinato una perdita di controllo. Dato che entrano in gioco i circoli viziosi, gli ansiosi sociali continuano nella loro attività di controllo. Morale della favola: più si controlla più si va incontro al fallimento e più si continua a controllare.