Il timore nasce verso ciò che non si conosce.
Il disagio nelle relazioni con gli altri costituisce il problema principale di tutte le persone timide o afflitte da altre forme di ansia sociale.
Si tratta di un disagio che si manifesta in vari modi, con diversi gradi di difficoltà relazionali, in variegate forme di relazione, con varie espressioni dei sintomi d’ansia. Disagi che inducono gli individui timidi a fare scena muta nelle conversazioni, ad avere atteggiamenti ritirati in determinate situazioni sociali, a manifestare impaccio o evidente inibizione in tutta una serie di situazioni contingenti, o anche a evitare determinate esperienze di socializzazione.
Questo disagio relazionale, però, non si manifesta con tutte le persone con le quali il soggetto ansioso entra in rapporto.
Nelle relazioni amicali caratterizzate da buoni rapporti confidenziali, nelle amicizie stabili o di vecchia data, è cosa normale che l’ansia non si manifesti. E ciò è vero anche nelle relazioni con i familiari più stretti verso le quali non vi sono situazioni di soggezione o conflitto.
Ciò accade perché, sostanzialmente, la timidezza è paura dei giudizi e delle valutazioni negative altrui, per cui i fenomeni inibitori si manifestano nei confronti di coloro che non conosciamo a sufficienza, verso coloro di cui non sappiamo se possiamo fidarci, verso coloro che non ci conoscono a sufficienza.
È verso questi soggetti che scatta il timore di giudizio e valutazione.
Si tratta, quindi, di un timore verso persone che non si conoscono, di cui non si sa a cosa siano realmente interessati; di questi non si sa cosa pensano in generale o in relazione a determinate questioni che investono la nostra personale fragilità; persone di cui non si conoscono le abitudini o usanze comportamentali e verbali; dei quali non se ne conosce il linguaggio, il background culturale, e quant’altro.
In pratica è la penuria di conoscenze verso tali soggetti che ci pone nella posizione di sentirci a rischio, esposti.
Nei confronti di amici, o di parenti, che ci conoscono abbastanza, non proviamo timore, perché sappiamo fin dove possiamo esporci e come. Di essi conosciamo l’indole, il carattere, la personalità, i modi di fare e di essere.
Dove c’è conoscenza la paura si annichilisce.
Ecco perché nei loro confronti non proviamo ansia e, dunque, non siamo inibiti o comunque lo siamo in maniera ininfluente sulla qualità della relazione.
Volendo usare una metafora, è come se l’asticella della percezione di minaccia sia posta molto in alto. Ma con le persone che non si conoscono, quest’asticella è posta molto in basso.
Nei confronti delle persone ben conosciute, la cosa può cambiare se l’altro/a, diventa, a un certo punto, l’oggetto del nostro desiderio di relazione di coppia. In questo caso è cambiata la relazione: anche se tale desiderio è solo un proposito, un orientamento, uno scopo, è cambiato il nostro modo di approcciarci all’altro/a: entriamo in una diversa dimensione valutativa.
La posta in gioco non è più l’amicizia, ma una relazione molto più stretta, con maggiori implicazioni emotive e relazionali e che presuppone, almeno nelle intenzioni, un livello di confidenzialità molto più elevato. È in gioco una parte significativa della nostra vita futura e della nostra affettività futura.
Se l’asticella verso questa persona era a nove nel suo ruolo di amico/a, ora scende a tre o quattro. La percezione di rischio aumenta considerevolmente perché ciò cui stiamo aspirando riveste, per noi, un’importanza di molto superiore. Dell’altro/a abbiamo una conoscenza legata al ruolo amicale o familiare, ma non a quello di amante: improvvisamente ci troviamo di fronte a qualcosa di sconosciuto che ci fa percepire più fragili.
In breve, maggiore è il valore che assegniamo a qualcosa, maggiore è il timore che quel qualcosa possa danneggiarsi o danneggiarci o essere persa, maggiore è il livello di ansia che si attiva.