Presta attenzione a ciò che dici – 2
Oggi continuerò ancora in questo viaggio nelle frasi abituali che producono danni cognitivi ai bambini. Do molta importanza a ciò, perché conosco una gran quantità di vittime di questi comportamenti che oggi, da adulti, ne pagano pesantemente le conseguenze. Purtroppo assisto ancora abbondantemente a questi modi genitoriali di relazionarsi con i propri figli, spesso umiliati, incompresi, repressi, talvolta anche molto oltre il limite della decenza.
Se gli dici cose del tipo:
“un giorno di questi, mi farai morire dal dispiacere”
“con tutti i sacrifici che facciamo per te, è così che ci ringrazi?”
“ci aspettavamo dei buoni voti e invece guarda che fai”
“dopo tutto quello che abbiamo fatto per te, ci dai sempre una delusione, vuoi farci star male?”
Il genitore pensa di indurre il figlio a cambiare, pensa di responsabilizzarlo.
In realtà producendo nel bimbo il senso di colpa, non fa altro che instillare nella sua mente inconscia la convinzione di essere un individuo indegno, non meritevole di stima e di affetto. un bambino identifica il genitore come l ’”altro da sé”, cioè tutti gli altri, il mondo esterno alla sua persona. Se egli si sente indegno di affetto e apprezzamento, si sentirà tale nei confronti di tutti gli altri.
Queste convinzioni si fissano negli schemi di memoria del sistema cognitivo, condizionando in modo sistemico, la sua vita da adulto. Già verso la fine della prima adolescenza potrà cominciare a manifestare timidezza, passività, depressione, subalternità nei confronti altrui, incapacità nel far valere i propri diritti o la convinzione di non averne. Se un bambino ha già predisposizione all’ansia, questi sintomi possono manifestarsi anche in età infantile.
Se gli dici cose del tipo:
“te lo dico per il tuo bene, per assicurarti un futuro”
“lo faccio per il tuo bene, per il tuo futuro”
“la vita è fatta di sacrifici, se vuoi avere qualcosa dalla vita te la devi guadagnare con l’impegno, lottando”
“hai il dovere di impegnarti a scuola, i giochi e gli amici sono meno importanti, possono anche aspettare”
Magari gli si chiede se ha capito e lui risponderà di si, solo che lui ha si capito, ma nel modo dei bambini, non certo nel senso che intendono gli adulti.
Un bambino interpreta queste frasi nel senso che le cose che gli piacciono sono cattive, che non gli è concesso di farle oppure che non le merita, e giacché gli piace giocare, si convincerà di valere poco perché il genitore non lo considera importante.
I bambini non hanno una vera cognizione del futuro, è qualcosa di troppo astratto per la loro mente che non ha ancora sviluppato, in senso compiuto, la percezione del tempo, anche il concetto di sacrificio è qualcosa di alieno per la loro mente. In generale tutti i concetti astratti sono per loro incomprensibili nei termini che intendono gli adulti.
Con questi tipi di frasi, il bimbo percepisce solo, e genericamente, che da lui ci si aspetta molto. Quando si sente dire sovente queste cose sviluppa fenomeni come ad esempio l’ansia da prestazione, e già questa da sola gli procurerà da adulto molti problemi.
Se gli dici cose del tipo:
“Ti ho detto un sacco di volte che questo non lo devi fare, che puoi farti male”
“sta sempre vicino a mamma (o papà) che ti puoi perdere”
“sta sempre vicino a me, che puoi andare sotto un’auto”
“smettila di correre (o giocare a pallone) che sudi e ti ammali”
“non giocare con quelli là, che possono farti male”
“queste cose da solo non le devi fare, se non c’è mamma o papà”
“devi fare solo quello che ti dice mamma o papà”
Una delle maggiori cause dell’insorgenza dell’insicurezza, della timidezza, dell’ansia provengono da genitori apprensivi o ansiosi. Un bambino deve poter sperimentare esperienze da solo per poter acquisire una precisa cognizione dei rischi e delle opportunità offerte dalla vita. Un bimbo frenato diventa un adulto con molte carenze comportamentali, timido, insicuro, ansioso, imbranato.
Questi tipi di frasi danno al bambino la percezione di essere debole e incapace e si convince di ciò. può sviluppare l’idea che la sua sicurezza dipende solo dagli altri ma non da se stesso.
Un genitore deve essere una presenza protettiva ma non invadente, rispetto ai rischi, deve coinvolgere il figlio in modo attivo senza trasmettergli la sensazione di essere fragile.
Se gli dici cose del tipo:
“un uomo vero non piange mai”
“non piangere, che non serve a niente”
“smettila di aver paura, che non c’è motivo”
“solo i deboli piangono”
“ma insomma è mai possibile che ti spaventi ancora per queste cose, alla tua età?”
“non arrabbiarti che è stupido”
“non essere triste, i bambini non lo sono mai”
Un bambino ha bisogno di comprendere e apprendere le emozioni che prova, ha bisogno di scoprire come gli altri vivono le emozioni e come interpretano le sue; sente anche il bisogno di conforto e che si mostri interesse per la sua condizione emotiva. Queste emozioni non vanno interpretate per “supposizione”, con i bimbi bisogna dialogare ed essere solidali.
se non ricevono partecipazione, non imparano a definire e a dare senso alle loro emozioni, sensazioni e percezioni, restano esperienze sconosciute, non comprensibili, a cui non sanno dare risposte. Le conseguenze di questo mancato apprendimento si riversa anche nelle relazioni interpersonali, non comprendendo i sentimenti degli altri, non riescono a rispondere in modo adeguato alle emozioni altrui, finendo con l’essere rifiutati o isolati dal gruppo di cui fanno parte.
Se gli si trasmette il messaggio emozione = debolezza, egli le vivrà con un livello di conflittualità interiore drammatico, ritenendo di non poter contare sugli altri, non le esprime per vergogna, per non essere emarginato o non essere mal giudicato.
Non riuscire ad esprimere le proprie emozioni significa non riuscire a comunicare in modo adeguato con gli altri, e ad avere comportamenti non assertivi.