Il pensiero emotivo è dominato dalle emozioni, da logiche disfunzionali e pensieri irrazionali.
È emotivo il pensiero che interpreta e valuta, eventi, situazioni, comportamenti, relazioni, esperienze interne ed esterne, sulla base di pregiudizi cognitivi, degli stimoli emotivi e degli stati ansiosi e prescindendo da fattori oggettivi contingenti.
Il pensiero emotivo scaturisce da un’elaborazione di dati non corrispondenti alla realtà oggettiva, ricorre a idee fisse e rigide di base riguardanti la definizione, in negativo, del sé, degli altri, del divenire, del mondo come consesso sociale. Idee fisse, credenze, che costituiscono dati e supposizioni a priori.
Caratteristica di questa forma del pensare è la scarsità d’interpretazioni e valutazioni alternative all’ipotesi dominante e generalmente tendente a negativizzare le esperienze e le previsioni.
Chi pensa emotivamente tende a personalizzare lo stato delle cose e gli esiti delle esperienze che vive, spesso assumendosi la responsabilità degli eventi a prescindere dalle causali oggettive. In questo, l’ansioso sociale è proiettato in una dimensione mentale in cui i pensieri svolti e le emozioni provate sono assunti come dimostrazione di presunte inadeguatezze.
A facilitare l’emissione del pensiero emotivo può concorrere la tendenza a identificarsi con le esperienze vissute, cioè a rivivere accadimenti del proprio passato come se accadessero nel preciso momento presente.
Inoltre, la memoria delle esperienze negative passate, che è anche memoria di emozioni di sofferenza, ripropone, soprattutto nei pensieri previsionali, schemi interpretativi di realtà e prerogative personali legate agli insuccessi e ai giudizi negativi verso se stessi a conferma di proprie presunte inadeguatezze.
Uno degli effetti del pensare emotivo è riscontrabile nella scarsità d’interpretazioni tra realtà ed emozione, tra realtà e pensieri, tra la realtà e la sua interpretazione:
“Se mi sento un fallito, vuol dire che è vero”; “se mi è andata male, è perché sono un incapace”; “quello mi guarda e sta pensando male di me”; “lei ha rifiutato il mio invito a cena perché sono noioso”; “ho sempre avuto sfortuna, sono nata per soffrire”; “se pensando queste cose, mi sento così male, vuol dire che queste idee sono vere”.
Anche le credenze di base sono assunte come dati di fatto.
Nel pensare emotivo ciò che si percepisce, per logico o illogico che possa essere, coincide con la realtà: pensieri, idee, sensazioni, percezioni, emozioni diventano, allo stesso tempo, il significante della realtà e verità oggettiva.
È proprio in questo che si consuma la distinzione tra pensiero emotivo e pensiero razionale, tra interpretazione oggettiva della realtà e interpretazione emotiva della realtà.
Spesso il pensiero emotivo si presenta alla coscienza dell’ansioso sociale, in modo ambiguo, tale da essere confuso con un’emozione.
Ad esempio, “sentirsi” in un certo modo è vissuto come stato emotivo, tanto che pensiero ed emozione appaiono alla coscienza come un tutt’uno, mentre nella realtà, sono elementi di differenti domini che interagiscono vicendevolmente.
Dunque, il pensiero emotivo sfugge all’oggettività e muove la sua logica sul fronte delle impressioni, si lascia condizionare dalle paure, e nel recepire le percezioni emotive, le ansie e le credenze di fondo, convalida gli schemi cognitivi disfunzionali.
Nella timidezza il pensiero previsionale obbedisce agli stili, alle logiche e ai modus operandi del pensare emotivo.
Questo significa che le credenze disfunzionali dettano legge e determinano la negatività delle conclusioni cui giunge il pensiero.
Come abbiamo visto, il pensiero emotivo è tragicamente operante nella valutazione delle esperienze che tende a finalizzarsi nella conferma delle credenze riguardanti il sé, gli altri o il mondo. Una finalizzazione che passa per il giudizio negativo verso sé stessi o verso gli altri.