Tra i fattori più problematici che, un timido e un ansioso sociale in generale, deve affrontare per il cambiamento, ci sono l’abitudinarietà e automaticità di comportamenti e metacognizioni, oltre alla staticità delle credenze disfunzionali.
Mentre le credenze di base si sono già stabilmente strutturate e radicate sin dalle prime manifestazioni delle forme di ansia sociale, determinati comportamenti (cioè quel che si dice e ciò che si fa), assunzioni varie e metacognizioni acquisiscono carattere abitudinario e automatico soprattutto quando il disagio si è già manifestato.
Le credenze di base che si sono formate per effetto dell’ interazione con le figure di riferimento, nell’infanzia e la fanciullezza, generalmente, presentano “al pettine” i problemi di cui sono portatrici, con l’ingresso nell’età adolescenziale.
Quelle disfunzionali, già a quel punto, sono state abbondantemente rinforzate e, quindi, si sono radicate le definizioni negative del sé e degli altri.
Se le credenze disfunzionali, attivandosi, accendono la “miccia”, tutto quello che ne consegue, comprese le riconferme delle stesse credenze attivate, è un processo che si auto alimenta e si auto rinforza e, auto referenziandosi, genera il circolo vizioso dell’ansia sociale.
La nostra mente opera in coerenza (e obbedienza) con i modelli interpretativi della realtà (credenze di base) che ha provveduto a costituire, rivisitare o rinforzare, sin dalla nascita.
Ciò implica che per operare in modo conforme a tali definizioni di base, la mente istruisce modi del pensare congruenti, che vengono chiamati in vario modo, in ragione della loro funzione: credenze intermedie, regolanti, doverizzanti, condizionali, assunzioni, o in modo omnicomprensivo, metacognizioni.
In molti casi, tali metacognizioni, vengono elaborate in relazione alle esperienze che l’ansioso sociale vive emotivamente in modo negativo e con sofferenza.
I modi del pensare, una volta che sono stati definiti, fungono da canovaccio, come linee guida, sia per le valutazioni delle situazioni future, sia per le strategie difensive di fronteggiamento (coping) della sofferenza, indipendentemente se questa è presagita o vissuta dal vero.
Le metacognizioni disfunzionali presentano un punto di forza che favorisce il loro ricorso reiterato: induce a comportamenti di protezione (evitamento, fuga, estraniazione, elusione) che placano le emozioni della paura e riducono sensibilmente o annullano gli stati d’ansia.
Questo esito viene vissuto dall’ansioso sociale come un’azione che ha evitato la sofferenza prevista ed è, quindi, avvertito positivamente.
D’altra parte, sappiamo che ogni comportamento che produce un vantaggio è apprezzato e, pertanto, maggiormente ripetuto, fino a diventare abituale e automatico.
L’effetto di tale risultato non si registra solo a livello comportamentale, che è il suo aspetto esteriore, ma anche a livello cognitivo, che spesso è anche inconscio. Infatti, le credenze disfunzionali attivate, e collegate a un determinato comportamento, sono confermate e rinforzate nel loro assunto e nella loro validità.
Il radicamento e l’automaticità di una credenza è direttamente proporzionale alla ripetizione dei comportamenti collegati, in pratica, più si adotta un comportamento disfunzionale, più si rafforza lo schema cognitivo da cui è generato.
Inoltre, per effetto del carattere circolare dell’ansia sociale, ciò è vero anche al contrario: più si rafforza lo schema cognitivo, maggiormente è attuato il comportamento disfunzionale corrispondente.
Possiamo descrivere il circolo vizioso della timidezza come una catena costituita di processi cognitivi e comportamenti che, non solo auto alimenta la propria dinamica, ma rafforza ogni singolo anello che lo compone.
Nello schema sottostante, posto a conclusione di quest’articolo, appare più esaustivo sia la logica circolare di fattori che entrano in gioco, sia la dinamica del radicamento di credenze e comportamenti disfunzionali nelle ansie sociali.