Ogni paura è riconducibile al senso di vulnerabilità della propria persona. In condizioni normali, la paura ci rende coscienti di non essere onnipotenti, ci pone di fronte ai nostri limiti, ma ci rende anche consci delle nostre capacità di manovra.

Frida Kahlo – la colonna spezzata

Nell’ansia sociale e nella timidezza, l’asticella che segna il grado di vulnerabilità è molto bassa, per cui le capacità di reagire efficacemente agli stimoli che pervengono sono considerate decisamente deficitarie; sicché, avendo un’idea di grande fragilità di sé, ogni situazione, evento, normalmente gestibile, è percepita come grande minaccia.

Il senso di vulnerabilità è una percezione cognitiva derivata; cioè, è la risultante di processi cognitivi volti alla valutazione della situazione in esame e delle capacità proprie di farvi fronte.

L’interazione di questi dati di conoscenza, che giungono all’attenzione della mente, come flussi di coscienza, determina il valore del livello di rischio che l’individuo assume per la situazione o l’evento che deve fronteggiare.

I flussi di coscienza, ossia, la presa d’atto della configurazione di una data situazione, non sono necessariamente aderenti alla realtà, poiché attingono dalle credenze di base, stili e modi abituali o tendenziali del pensare. 

Ciò implica la possibilità che le credenze di base possano essere interpretazioni emotive della realtà; per cui anche quelle intermedie risultano disfunzionali; anche gli stili e modi del pensare, cioè le metacognizioni, siano condizionate disfunzionalmente, non tanto nel “cosa”, quanto nel “come” si pensa e in funzione delle sottostanti credenze.

Possiamo dire che un ansioso sociale o una persona timida si sente tanto vulnerabile quanto più le credenze di base ineriscono a idee inadeguate del sé.

Le metacognizioni, i pensieri condizionali, le doverizzazioni e, di conseguenza, i pensieri automatici negativi, seguono l’indirizzo di negatività o positività contenuto nelle definizioni delineate dai convincimenti inconsci sul sé.

Giacché attiene al dominio cognitivo, quella della vulnerabilità, è un’idea, un convincimento, anche se spesso, è percepita come senso, come un sentire.

Dunque, nell’ansia sociale e nella timidezza, il senso di vulnerabilità discende dal percepirsi inadeguati in uno o più campi del vivere sociale.

L’idea dell’inadeguatezza di sé spinge, il soggetto timido a sentirsi sprovvisto, non solo di adeguati strumenti d’interazione sociale, ma anche di mezzi di autodifesa. 

Egli si sente nudo, e le sue presunte qualità negative (l’essere incapaci, inabili, stupidi, falliti, inferiori agli altri, inamabile, non interessante come persona) gli appaiono troppo vistose nel momento in cui s’interfaccia con gli altri.

Ma il timore degli individui timidi è anche orientato verso le conseguenze dell’essere scoperti come soggetti inadeguati, temono i giudizi negativi altrui, di perdere la faccia, di ritrovarsi a essere degli emarginati sociali, di vivere nella solitudine.

L’insieme di queste paure non fa che accentuare il senso di vulnerabilità di sé. Tutti gli eventi e le situazioni sociali si trasformano in contenitori di minacce incombenti e gravi. I pensieri automatici negativi martellano in due direzioni principali, la propria inadeguatezza e la previsione che tutto andrà male.

È chiaro che se anche le previsioni non danno spazio a ipotesi neutre o positive, il rischio percepito e valutato, è altissimo, rasenta la certezza che si verifichi, diventa qualcosa che si sta già vivendo, come se il futuro coincidesse col momento presente: per molti ciò che non è ancora accaduto, è già scritto; proprio come nell’idea della predestinazione cui tendono molti soggetti ansiosi.

Più è forte l’idea dell’insuccesso, del fallimento, maggiore è il senso della vulnerabilità; questa proporzione è vera anche all’inverso: s’influenzano vicendevolmente: sono componenti del circolo vizioso della timidezza e dell’ansia sociale.

Condividi questo articolo: