L‘ansia sociale nelle sue varie forme, e quindi anche la timidezza, esiste solo se è riferita agli altri, cioè al mondo delle relazioni umane in tutte le sue forme (amicali, rapporti di coppia, di lavoro, ruolo sociale).
Se partiamo da quest’assunto, il timore di essere giudicati negativamente dagli altri, costituisce un fattore centrale nella definizione delle caratteristiche della timidezza e dell’ansia sociale in generale.
Non a caso, nei vari tentativi di definire la timidezza o la stessa ansia sociale, il riferimento alla paura del giudizio altrui, è tanto frequente da essere considerata una costante.
In una persona timida, quest’emozione è da ricondurre al soprastante sentimento della perdita, percepito come espressione di condizioni che annichiliscono il proprio ruolo, nelle sue varie forme del vivere sociale: la solitudine, l’isolamento, l’emarginazione, l’allontanamento, il fallimento, la non amabilità, la perdita di valore di sé.
Il sentimento della perdita costituisce, perciò, l’emozione che annuncia e prevede la conseguenza ultima non solo del giudizio negativo altrui, ma anche della condizione stessa dell’essere timido, ansioso sociale.
Negli individui timidi, tali conseguenze catastrofiche appaiono come ineluttabili, segno del destino. Vorrebbero sfuggirvi, ma sentono di avere poche chance perché si percepiscono “sbagliati”.
“Quei timori dei giudizi negativi altrui sembrano essere un riflesso di ciò che essi pensano di sé, come se i pensieri degli altri fossero uno specchio che riflette la loro auto-considerazione, hanno paura della propria “immagine”, così diventano rinunciatari, evitano di trovarsi in situazioni che stimolano, nella loro mente, il timore inconscio di riflettersi attraverso i giudizi esterni; in un certo senso fuggono da sé stessi, o per meglio dire, dall’idea che hanno di sé, quasi come per dire al mondo: lasciatemi stare, so già di essere scarso, non me lo ricordate che mi fa stare ancora più male.” (Luigi Zizzari, Addio timidezza, 2023)
Il sentimento della perdita, come previsione della conseguenza finale dei giudizi negativi esterni, è un’emozione che scaturisce da processi di elaborazione cognitiva, costituitasi sulla base di informazioni, provenienti da un insieme di schemi interpretativi di sé, orientati a una valutazione di insufficienza o carenza assoluta.
Si tratta di credenze che possono definire se stessi in modo vario, ad esempio, come soggetti inabili socialmente, incapaci di far fronte a situazioni di carattere sociale in modo efficace, carenti nel problem-solving, essere soggetti non amabili, non interessanti o attraenti come persona. Tali credenze possono anche riferirsi agli altri percepiti come soggetti indisponibili, o anche alla società umana con i suoi costumi e regole dominanti, e percepita come entità escludente, emarginante.
Nel momento in cui le persone timide, gli ansiosi sociali in generale, si percepiscono come portatori di carenze operative o relazionali, ne avvertono il peso in termini di possibili trasparenze verso l’esterno, di visibilità del proprio handicap. Condizione che è vissuta come la spada di Damocle, pendente in ogni situazione in cui si sentono, volenti o nolenti, investiti di ruolo attivo o protagonista, che prefigura un atto dimostrativo del valore personale.
La carenza, lo scarso valore di sé, sono concepiti come fattori di discriminazione sociale, come causa prima delle conseguenze finali e catastrofiche. Giacché tali conseguenze non possono che passare attraverso il giudizio negativo degli altri, questo, diventa l’assillo principale e ossessivo del soggetto ansioso.
Posto dinanzi al rischio della debacle percepita come immanente e certa, l’individuo timido che, tra l’altro diventa oggetto dell’ansia fisiologica ed emotiva, trova come unica soluzione di salvezza, la scelta della fuga, dell’evitamento, dell’elusione, in qualche caso dell’estraniazione. Se da un lato, con questi comportamenti, allontanano da sé gli effetti fisici dell’ansia, dall’altro, l’idea di evitare di rendere trasparente la propria presunta insufficienza, non solo finisce con l’avere un effetto boomerang attraverso il rinforzo delle proprie credenze negative, ma rende evidente all’esterno una condizione di impaccio, di maldestrità, inabilità.