Il ricorso alla fantasia e all’immaginazione delle persone timide, e degli ansiosi sociali in generale, assume quasi sempre connotati riconducibili a quelle carenze che essi ritengono di avere.
Infatti, scaturiscono dal percepirsi come non adeguati in attività relative al campo delle relazioni umane e sociali. In genere, rappresentano un desiderio di riscatto e conquista di una credibilità, agli occhi degli altri, che pensano di non avere, o anche di non aver mai avuto. 

Queste persone giungono a creare dei veri e propri film mentali, in cui il soggetto stesso è protagonista, ora sottinteso, ora esplicito.

Salvatdor Dali – dislocazione dei desideri

Il desiderio di protagonismo attivo è, spesso, espresso attraverso figure eroiche o fortemente determinati e punto di riferimento assoluto per gli altri. Capita anche che, a rappresentare sé stessi nella costruzione immaginaria, siano più personaggi. In questi casi la personalità si sdoppia a significare da un lato le fragilità proprie e, dall’altro, di un sé libero da debolezze o forme d’incapacità. È un po’ come mettere in scena, positività e negatività, esclusione sociale e protagonismo, sentimento di perdita e volontà di riscatto, realtà emotiva e realtà oggettiva, anche se quest’ultima assume più che altro le caratteristiche del desiderio. In questi contesti immaginativi, gli altri possono anche assumere il ruolo di spettatori ammiranti. 

L’eroe non è tanto Muzio Scevola o Pietro Micca, né propriamente un antieroe, è piuttosto una persona capace nel problem-solving, abile nelle relazioni interpersonali, sicuro delle proprie scelte, ammirato nel contesto sociale per doti e qualità, attraente e ricercato: una persona che corrisponde all’immagine idealistica di sé.

Questo sistema immaginario non è, però, ricostruttivo di credenze regolanti e condizionali, al contrario, ne conferma la validità rafforzandole, costruisce la realtà immaginativa nella piena osservanza di assunzioni e regole implicite, riconosce e conferma le credenze negative di base, trasferendo, in un sé “altro”, gli elementi antagonisti e legittimando lo status quo cognitivo.

Le credenze relative all’inabilità, incapacità, nullità, insignificanza, indesiderabilità, debolezza, inamabilità, i sentimenti mossi dalla paura dei giudizi negativi altrui, di apparire con le caratteristiche negative che si pensa di avere, i sentimenti della perdita, della solitudine, dell’isolamento, tutti questi fattori, inducono alla ricerca della loro soluzione, nel mondo parallelo della fantasia, ma al contempo costituiscono il riconoscimento e/o la rassegnazione a un’immutabilità della propria condizione.
In quest’ottica, dunque, il ricorso all’immaginario costituisce un fattore di segnalazione della percezione di sé in chiave negativa.

Spesso, gli individui timidi tendono al desiderio di rimarcare, nelle situazioni reali di relazioni sociali, le proprie fantasie andando incontro a inevitabili insuccessi. Capita che il loro mondo fantastico sia messo a confronto con il mondo reale che toccano con mano, confondendo mondo reale con realtà immaginaria. Non trovando elementi di continuità tra le due forme, né convergenze, precipitano ancor più nel pessimismo e nell’abbassare ulteriormente la propria autostima.

Il fantasticare, in sé, non è un’attività negativa, allena le capacità creative e intuitive. Il problema nasce nel momento in cui non si attua, coscientemente e con consapevolezza costante, una netta distinzione e separazione tra l’attività immaginaria e quella concreta della vita reale.

Eppure l’immaginazione può costituire un utile strumento, per migliorare o mettere a punto strategie di relazione sociale, per la costruzione di modelli di riferimento cui ricorrere nella gestione della comunicazione. Non a caso, ad esempio, la tecnica del copione o lo psicodramma, sono ampiamente utilizzati sia nella psicoterapia ispirata a vari indirizzi terapeutici, sia nelle tecniche assertive per l’acquisizione o miglioramento di capacità di conversazione e gestione della comunicazione nei rapporti interpersonali.

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