Dallo studio del genoma umano non sono emersi, a tutt’oggi, elementi che lo confermano. Tuttavia vari studi inducono ad ipotizzare che possa esserci un’origine genetica dei disturbi d’ansia, e quindi della timidezza.
Nel 1992 uno studio dello psichiatra Kenneth Kendler, fatto su un campione molto ampio di 3700 gemelli, faceva emergere alcuni dati interessanti. Nei casi di gemelli omozigoti (nati da una cellula fecondata da uno spermatozoo ed aventi identico patrimonio genetico), se uno di loro era ansioso, nel 24% dei casi, lo era anche l’altro; La percentuale scende al 15% nei casi di gemelli di zigotici (nati da due diversi ovuli secondati da due diversi spermatozoi).
Uno studio longitudinale (monitoraggio nel corso degli anni), iniziato nel 1989 diretto dal dr. Jerome Kagan, e tutt’ora in corso, ha studiato il temperamento di bimbi appena nati e ne ha seguito la loro evoluzione sino ad oggi (attualmente hanno 21 anni). L’importanza del lavoro di Kagan è data dal fatto che gli individui presi in esame sono stati osservati durante tutto il loro processo di crescita fisica e comportamentale, dalla nascita alla maggiore età.
Per maggior chiarezza diciamo subito che
il temperamento è definibile come la tendenza innata nello sperimentare e nel reagire, nei confronti dell’ambiente, in modo tipico, è la base biologica della personalità.
Ad esempio tratti del temperamento sono, l’inibizione nei confronti del nuovo, la tendenza sociale, l’attenzione prestata verso ciò che ci circonda, l’esprimere le emozioni sia positive sia negative, le attività motorie.
circa il 20% dei bimbi presi in esame, nella ricerca di Kagan, mostravano inibizioni comportamentali, vale a dire che erano molto reattivi; il 40% erano poco reattivi, sembravano privi d’insicurezza; il restante era in condizioni intermedie.
Sono emerse delle tendenze interessanti, i bambini molto reattivi a quattro anni hanno la possibilità di diventare significativamente inibiti ben quattro volte superiore ai bimbi poco reattivi; verso i sette anni la metà di loro presentavano già sintomi d’ansia, mentre tra i bimbi inizialmente “sicuri”, solo il 10% sviluppavano tali sintomi. Questo andamento si riduceva nell’età adolescenziale, solo un terzo dei bimbi molto reattivi mantenevano i tratti ansiosi.
Quanto agli ex ansiosi, questi, accettando il proprio temperamento che avevano ereditato, si erano liberati dei suoi vincoli, pur rimanendo poco disinvolti, se la cavavano bene.
Uno degli adolescenti ex reattivi, raccontava che nel sentir parlare del rischio di attentati all’antrace aveva provato un forte malessere, ma sapendo della sua eredità genetica e riflettendoci su, l’aveva superato.
Una ragazza, ora ventunenne si definiva diligente piuttosto che ansiosa, rispettosa delle regole, nutriva una forte passione per la danza e, in tal campo vi eccelleva.
L’eredità genetica non si cancella
È bene far notare che le emozioni sono costituite da tre componenti fondamentali:
- Una personale, che è data dal modo in cui si percepiscono le emozioni,
- Una fisiologica, determinata dai processi chimici che si verificano nel cervello,
- Una comportamentale, in pratica, come ci si comporta in relazione ad un’ emozione.
Chi nasce ansioso può imparare a gestire, il proprio modo di percepire ed i propri comportamenti, ma difficilmente potrà evitare che la componente fisiologica abbia il suo corso.
Lo studio di Kagan ha permesso di comprendere con maggiore chiarezza quello che accade nel cervello.
Si è notato che nei bambini reattivi, durante la crescita, si verifica un ispessimento della corteccia prefrontale rispetto ai bimbi non reattivi, anche se non è ancora chiaro se ciò sia una causa o una conseguenza del temperamento. Di certo si sa che la corteccia prefrontale è deputata alle funzioni di automonitoraggio, autocontrollo e all’inibizione, pertanto è possibile che abbia un ruolo di controllo sulle attività dell’amigdala, in tal caso essa svolgerebbe un’azione protettiva.
L’amigdala controlla le reazioni della paura, attiva ad esempio le reazioni in conseguenza degli stimoli, attività che si può riscontrare nell’accelerazione del battito cardiaco, la respirazione, l’attività motoria, la pressione sanguigna, il pianto ed altro.
Queste funzioni sono di adattamento, ma nei soggetti ansiosi vi è un intervento accentuato. Non necessariamente, però, uno stato emotivo, a livello cerebrale e fisiologico si trasferisce nella percezione personale dell’ansia: influiscono su ciò le strategie utilizzate nel deviare l’attenzione dallo stato ansioso, ma anche il tipo di percezione individuale ed il contesto situazionale, hanno la loro influenza.
L’influenza dell’ambiente
L’ansia può anche non avere origini biologiche, sia Kagan che Zimbardo, ritengono che sia probabile un’origine genetica se essa è presente in un bambino di due o tre anni, ma che può avere cause diverse se si manifesta in un bimbo di nove o dieci anni che precedentemente non abbia manifestato comportamenti ansiosi.
L’ambiente familiare gioca un ruolo importante. Uno studio di Oxford fatto su un campione di oltre 12.000 coppie di neo-genitori, ha posto in evidenza che un padre depresso generava problemi emotivi e comportamentali sui figli.
Da un altro studio inglese pubblicato di recente, emerge che le madri colpite da depressione post-partum mostravano una ridotta qualità di cura ed attenzione verso i propri figlioletti, fatto che influisce sullo sviluppo sociale, cognitivo e comportamentale dei bimbi, di questa ultima questione ne ho discusso in alcuni miei precedenti articoli dedicati alla formazione degli schemi cognitivi e di cui parlo diffusamente nel mio e-book “Addio timidezza”.
Dagli studi di Kagan si è potuto appurare quanto sia importante l’ambiente familiare e sociale in cui crescono i bambini. Si è visto che un ambiente “sano” ha permesso, a buona parte dei bambini inizialmente ansiosi, di superare l’ “handicap” originario, ma anche di come bambini non “geneticamente” ansiosi, lo siano poi diventati nel corso degli anni.
In realtà il temperamento non determina una “condanna” ad essere degli ansiosi, quel che possiamo dire è che il fattore genetico di per sé non fa nascere timidi ma solo essere a maggior rischio di timidezza, che abbiano una maggiore predisposizione a sviluppare una condizione di ansietà.