PARTE II
Avendo funzioni regolanti e normative, le credenze intermedie si diversificano in diverse tipologie, ciascuna caratterizzata da una propria “sintassi”.
Le credenze condizionali hanno la caratteristica di governare i comportamenti stabilendone i modelli e le regole cui attenersi.
Influenzano significativamente, e in modo vincolante, il pensiero etico, soprattutto quando è riferito agli obblighi o alle necessità dei propri comportamenti, talvolta anche in relazione a quelli degli altri. Costituiscono il nucleo organizzativo e direttivo del modo di vivere l’intero sistema delle relazioni sociali.
In particolare, afferiscono alle conseguenze del comportamento sociale in quanto oggetto di valutazione da parte di altri, producono pensieri riguardanti le possibili conseguenze negative di una cattiva performance del tipo “se dico la mia penseranno che sono un cretino”.
È per questo che vengono chiamate condizionali, stabiliscono la relazione tra un comportamento e gli effetti che ne possono conseguire, in tal senso costituiscono anche una logica previsionale che si può riassumere così: posta questa condizione, quest’insieme di situazioni, il mio comportamento deve essere questo se non voglio che le cose precipitano in negativo.
La credenza secondo cui la propria credibilità e valore siano sottostanti alle valutazioni altrui, schiaccia il soggetto verso l’auto annullamento come individuo autonomo e verso il basso nei ruoli gerarchici, sia nelle aggregazioni amicali, sia nell’ambito lavorativo.
Il fatto di condizionare il proprio modo di essere alle valutazioni esterne, fa sì che il processo di autodeterminazione personale e sociale subisca un pesante ridimensionamento operativo o che venga annichilito.
Le frasi con cui si esprimono le credenze condizionali sono, generalmente, costituite in due parti. La prima parte, che costituisce la premessa, è condizionale e caratterizzata dall’uso di locuzioni del tipo: “se …… “; “a meno che …… “; “o …… (faccio, riesco, eccetera) “.
La seconda parte esprime una punizione, cioè la conseguenza negativa che si verifica se la premessa non viene soddisfatta, è caratterizzata da locuzioni di tipo: “allora….. “; “poi……“; “oppure……”.
Spesso, però, le locuzioni della premessa e/o quelle condizionali sono sottintese, quindi tali termini non vengono pronunciati o utilizzati, sono cioè impliciti. In altri casi le credenze intermedie si esprimono sotto forma di motto, cioè di regole sintetiche che ci si dà, cui ci si ispira in tutto ciò che si fa o non si fa, oppure sotto forma di considerazioni su se stessi.
Le credenze regolanti guidano il comportamento sociale, caratterizzate da standard esageratamente elevati o rigidi, generano pensieri orientati a performance la cui perfezione è considerata obbligatoria, del tipo “devo fare tutto in modo perfetto”, “non devo assolutamente sbagliare”.
Una regola-principio che fa parte del nostro modo di pensare, e che viene espresso in modo sintetico, è scomponibile in una frase contenente premessa e punizione.
Faccio qualche esempio: “mai avvicinarsi” (se mi avvicino, allora sarò respinto); “non commettere errori” (se sbaglio, allora sono un fallito); “bisogna sempre fare le cose in modo perfetto” (se non faccio le cose per bene (allora) sono un fallito); “bisogna sempre essere la migliore” (se non sono la migliore vuol dire che (allora) non valgo niente); “non mi amano perché non valgo niente “ (se non mi amano allora non valgo niente).
Le doverizzazioni fanno parte delle regole implicite e costituiscono delle vere e proprie norme di comportamento che la persona si impone di osservare, sono quindi degli imperativi.
Le frasi che compongono questi pensieri sono caratterizzate dall’uso di parole come: devo, dovrei, non posso evitare.
A queste parole doverizzanti è associato un altrimenti, che può essere esplicito o sottinteso.
Le disfunzionalità delle doverizzazioni risiedono nella loro perentorietà, sono rigide e non danno spazio, né alla fallacità umana, né all’idea che gli incidenti di percorso possono sempre accadere.
Classici esempi di doverizzazioni sono: “non posso permettermi un passo falso”; “non devo sbagliare”; “devo essere sempre perfetto”.
In genere agli “altrimenti” corrispondono conseguenze negative, ad esempio: “non devo sbagliare, altrimenti sono un fallito”; “devo essere sempre perfetto, altrimenti sono solo un mediocre”; “non dovrei mai deludere gli amici (o i familiari), sennò mi lasciano”.
Di credenze intermedie ne abbiamo tutti, solo che mentre nelle persone “normali” queste hanno una validità relativa e sono spesse sovvertite in favore di altre regole più confacenti agli obiettivi, nelle persone timide e negli ansiosi sociali in generale, queste diventano un sistema normativo rigido e che assume una validità assoluta.
La non relatività delle credenze intermedie fa si che queste diventano norme dal carattere anche ossessivo, che possiamo riscontrare nella mania per la perfezione, verso l’idea del primeggiare come elemento distintivo del proprio valore, nei comportamenti subalterni o comunque passivi. Ancora una volta il comportamento evitante si pone come strumento attuativo principe per l’osservanza di tali norme.