Le persone comunicano a prescindere dalla propria volontà.

Ciò vale anche per le persone timide. Lo fanno attraverso la postura, l’espressione del viso, dello sguardo, con l’evitare di guardare in faccia, con il parlare logorroico o con il non parlare affatto, la posizione abituale della testa, gli estenuanti silenzi nelle discussioni, l’incertezza delle proprie azioni, l’esitazione nel prendere decisioni, l’uso della terza persona nel linguaggio quando si vuol svolgere una critica, l’apparente stato di assenza sia quando si è con gli altri, sia quando si è da soli, la tendenza a comportamenti passivi o talvolta aggressivi che danno un’idea di nervosismo, con le tipiche manifestazioni fisiologiche dell’ansia.

Salvador Dalì – l’uomo invisibile

Il primo assioma della comunicazione elaborato da Watzlawick, afferma che non è possibile non comunicare: qualsiasi cosa faccia una persona, comunica indipendentemente dalla propria volontà. Facci caso, per ogni individuo che incontri o vedi o per ogni sua azione, ti fai un’idea – sia pur schematica e grossolana – della sua persona, anche se non la conosci e se non ci sono stati scambi verbali.

La timidezza si manifesta anche in alcuni contenuti del “dire”, questo perché il soggetto timido spesso è privo di adeguati modelli di comunicazione, dovuto fondamentalmente a un mancato apprendimento.

Proprio l’apprendimento di modelli sociali di comunicazione verbale e non verbale, costituisce uno dei fattori basilari che permette a ogni individuo di porsi in relazione con gli altri; senza di essi, è come andare in barca senza remi. 
Si finisce col comunicare fuori da canoni e linguaggi convenzionali e conosciuti dalla collettività, generando una difficoltà di comprensione e d’interscambio. 

L’effetto principale di questa complicazione, è il sentimento d’impotenza che insorge nell’animo del soggetto timido, che provoca un crollo della propria autostima, la manifestazione dell’insicurezza, la tendenza a chiamarsi fuori da diverse forme o luoghi della comunicazione.

Un soggetto timido o un ansioso sociale, non deve fare solo i conti con le proprie carenze comunicative, egli è in continuo confronto-scontro con l’idea che ha di sé stesso, con le convinzioni profonde riguardanti le proprie abilità, capacità e potenzialità.

In questo contesto, gli effetti negativi dovuti all’insufficienza funzionale di modelli di comunicazione, si risolvono in un rafforzamento delle convinzioni negative profonde che si ha di sé stessi e degli altri.

Il sentimento di sentirsi incompresi, di far parte di un mondo “altro” e che spesso si fa strada nei pensieri di queste persone, crea una frattura sociale che conduce a un parziale o totale auto isolamento che, anche se involontario è comunque perseguito.

Il sentimento d’impotenza si traduce con l’idea d’incapacità, di nullità, d’insignificanza, con il sentirsi immeritevoli, non amabili, non attraenti, non interessanti, non intelligenti, stupidi, brutti.

Tutte cose che conducono alla non accettazione, al rifiuto della propria persona, a giudizi ipercritici ora verso sé stessi, ora verso gli altri.

Un insieme di sentimenti e idee che producono l’autocensura quasi sistematica nei propri comportamenti. 

La persona afflitta dalla timidezza ha paura di parlare di sé, di esprimere pareri e idee, di manifestare sentimenti ed emozioni. 
Quest’autocensura non afferisce solo al mondo delle parole, ma anche alla mobilità corporea che si concretizza nella rigidità delle movenze, delle espressioni facciali, di posture raccolte e chiuse verso sé stessi.

Le persone timide, dunque, si auto reprimono. Infatti il comportamento inibito è sicuramente l’esternalizzazione più evidente della propria condizione, spesso confuse col pudore. 
Il problema è che mentre il pudore si riferisce a un concetto etico morale d’intere collettività (a prescindere dalla validità o meno di tale principio), l’inibizione è la reazione emotiva a una condizione mentale del proprio mondo interiore, alla percezione dell’accettabilità della propria persona.

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