Perché gli ansiosi sociali hanno difficoltà a inserirsi in un gruppo?

Perché gli ansiosi sociali hanno difficoltà a inserirsi in un gruppo?

Pubblicato da: Categorie: I problemi delle persone timide, La comunicazione

Il modo di come interpretiamo gli eventi e tutta l’attività della nostra mente, è un pullulare di pensieri. Anche quanto crediamo di non pensare, la nostra mente sta pensando.

Edward Hopper – s.t.

Quando dico che la timidezza, e le altre forme di ansia sociale, sono di natura cognitiva, è implicito che c’è lo zampino determinante dei flussi di pensiero che attraversano la nostra mente.

Le difficoltà che si vivono nell’inserimento sociale, nel partecipare attivamente a una discussione, nell’esprimere pareri e pensieri, nel creare relazione, dipendono, in primis, dai pensieri evocati dalla nostra mente in merito a tali attività. Ma quali sono i problemi di base che agiscono in questi casi?  Direi che c’è il bisogno-necessità-esigenza di essere parte di un contesto sociale, cioè, di un gruppo, di una comunità, o anche di una coppia. E ciò deriva dal fatto che l’essere umano è un animale sociale che riesce a realizzare sé stesso, compiutamente ed efficacemente, se è inserito in un contesto costituito da una pluralità di persone che condividono determinati obiettivi, culture, interessi. Il bisogno di appartenenza diventa, quindi, un valore cui l’individuo conferisce importanza primaria e validità fondante del proprio sé sociale. Sappiamo che maggiore è il valore che conferiamo a un fattore, un bisogno, eccetera, maggiore è anche il livello di attenzione che vi

Timidezza e linguaggio del corpo

Timidezza e linguaggio del corpo

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Quando ci riferiamo al linguaggio del corpo, parliamo di comunicazione non verbale. 

Ma perché è così importante?

Watzlawick, in una celebre frase, ha racchiuso tutto il senso e l’importanza della comunicazione: “non è possibile non comunicare”.

Salvador Dali – psicoanalisi e morfologia si incontrano

Quando noi guardiamo un individuo, riceviamo subito, d’imprinting, un’impressione che equivale alla descrizione di tale persona. Quest’assegnazione d’identità parte da ciò che vediamo.

Se una persona veste di cenci, deduciamo che è povera o che ha abbandonato sé stessa.

Se un individuo avanza con la schiena un po’ incurvata in avanti, la testa china a guardare il suolo, le braccia penzolanti e immobili, pensiamo che quella persona sia particolarmente timida, o ha qualche accidente psichico, oppure è estremamente afflitta da problemi propri. 

Se una persona procede col petto spinto in avanti, la testa leggermente china all’indietro, con le spalle che accompagnano il procedere dei passi, ci viene da pensare a uno sbruffone. (altro…)

La timidezza e la difficoltà nell’esprimersi

La timidezza e la difficoltà nell’esprimersi

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  Quando una persona timida dice “non mi so esprimere”, ci informa, implicitamente, di quattro cose: Ha un atteggiamento giudicante di sé stessa, in senso negativo. Ha la tendenza ad auto svalutarsi facendo, emergere una bassa autostima. Non conosce a sufficienza modelli d’interazione sociale. Ci informa di una probabile storia personale vissuta in un ambiente inadeguato a trasmettere abilità sociali.

Celiberti Giorgio – civiltà

La difficoltà nell’esprimersi può essere originata da diversi fattori, spesso compresenti e interagenti tra loro. In certi casi, tra questi fattori, vi può essere anche una relazione causale che implica componenti originari e indotti.

L’apprendimento di modelli d’interazione, cioè di abilità sociali è, forse, l’aspetto più diffuso tra le cause che conducono i soggetti timidi ad avere difficoltà nell’esprimersi. L’apprendimento si acquisisce nell’interazione sociale, per via emulativa, per similitudine, per mezzo di esempi, per prova ed errore, come trasmissione culturale. L’intera fascia temporale, che va dalla prima infanzia all’inizio dell’adolescenza, è essenziale per l’assimilazione di modelli d’interazione funzionali all’adattamento efficace alla vita sociale. Una famiglia carente nei comportamenti assertivi, oppure repressiva, o iperprotettiva, o con gravi problemi d’inserimento sociale, oppure disastrata al pr
L’aspetto cognitivo del non sapersi esprimere – seconda parte

L’aspetto cognitivo del non sapersi esprimere – seconda parte

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VA ALLA PRIMA PARTE Seconda Parte   Il sentirsi inabile nell’esprimersi, fenomeno tutto cognitivo, ha come conseguenza visibile, l’inibizione ansiogena. 

Marco Landi aka Tenax – dentro il mio silenzio

Quest’ultima scaturisce da un turbinio di pensieri automatici negativi che, in quanto tali, tendono a sfuggire alla presa d’atto dello stato cosciente e possono presentarsi anche sotto forma d’immagine mentale. 

I pensieri automatici negativi rappresentano la sintesi cognitiva finale di un processo che coinvolge credenze e metacognizioni, una volta che pervengono alla mente, attivano diverse aree del nostro cervello.  L’amigdala, centro nevralgico che controlla le nostre emozioni, genera il sentimento della paura. Di conseguenza la mente produce la sopravvalutazione del rischio e delle minacce. In questo stato emotivo, anche la pur minima probabilità che possa accadere qualcosa di spiacevole, appare più che una semplice possibilità, diventa l’unica ipotesi plausibile, una certezza.  L’ipotalamo, che ha la capacità di porre l’organismo in stato di allerta e predisporlo alla fuga o alla lotta, attiva i sintomi dell’ansia fisiologica che, normalmente, svolge la funzione di sentinella di allerta ma che, in una persona ansiosa, ha l’effetto di un terremoto. In queste situazioni, l’individuo timido, convoglia tutta l’attenzione dell’attività cognitiva, sull’esistenz
L’aspetto cognitivo del non sapersi esprimere – prima parte

L’aspetto cognitivo del non sapersi esprimere – prima parte

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Prima Parte La difficoltà nell’esternare emozioni o sentimenti, a partecipare attivamente nelle conversazioni, a esprimere in modo compiuto principi, concetti, pensieri e idee, è uno dei problemi principali che si riscontra nelle persone timide, e negli ansiosi sociali in generale. È un problema che può essere causato da diversi fattori che, in molti casi, sono coesistenti.

Paul Delvaux – l’ enigma

Hanno tutti un comune denominatore: una o più credenze di base che delineano una definizione del sé come persona incapace, oppure inabile nelle relazioni o nei comportamenti in generale, o anche inferiore agli altri. In breve credenze che rimandano a un’idea d’inadeguatezza della propria persona.

Alberto fa scena muta nelle conversazioni tra amici, al punto che, oramai, in quelle situazioni, la sua mente vaga per conto proprio, fuori da ogni contesto relativo alla discussione in atto. Marina sente di non avere niente da dire, ne soffre, ma proprio non sa cosa potrebbe dire, e la sua autostima cala sempre di più. Michele pensa che sono tutti troppo più intelligenti di lui, è convinto che se aprisse bocca direbbe solo cose non all’altezza della situazione.

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L’assertività come modello di comunicazione

L’assertività come modello di comunicazione

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Nell’interazione sociale, le persone afflitte da forme di ansia sociale come, ad esempio, la timidezza, vivono il problema della comunicazione. Una difficoltà che sperimentano nell’espressione di stati emotivi, nella manifestazione d’intenti relazionali, nell’esposizione di pareri o contenuti ideali, nelle conversazioni ordinarie, nella gestione delle relazioni stesse.

Henri Matisse – danza I

Si tratta di un disagio di natura cognitiva che può investire uno o più fattori di origine ambientale. Agenti che, limitandole o inibendole, costituiscono anche le cause del mancato ricorso alle abilità sociali. Mi riferisco all’ inibizione ansiogena, all’errato o mancato apprendimento, a carenti modelli di comportamento di riferimento nell’infanzia e nella fanciullezza, a scarsa socializzazione, ad ambienti con forti carenze nell’espressione dei sentimenti, a genitorialità caratterizzata da una o più peculiarità quali: estrema severità, apprensività, repressività, protettività, ansietà, anassertività. Essendo la comunicazione, uno strumento che veicola informazioni a trecentosessanta gradi, la sua funzione non è il semplice trasferimento di dati di conoscenza, serve anche a gestire le relazioni interpersonali.  Con la comunicazione informiamo gli interlocutori di tutta una serie di elementi utili a delineare limiti, aperture e carattere della relazione; alcuni di questi sono: l

Arte, timidezza e comunicazione

Arte, timidezza e comunicazione

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C’è un sacco di gente che veste alla Morrison così come in tanti usano il berretto alla Che. È un modo di dichiarare sé stessi in termini ideali ma col linguaggio dei segni, dell’iconografia. È un po’ come dire “Io sono questo, il mio mondo, i miei ideali, le mie emozioni, le mie inquietudini sono queste, sappiatelo. Sic sum”. 

Egon Schiele – autoritratto nudo inginocchiato

È comunicazione non verbale, ma spesso più diretta. Ma la cosa può essere più articolata. Può anche trattarsi dell’abbigliamento del proprio gruppo sociale, di frequentazione. In tal caso, è anche un comportamento gregario, di appartenenza sociale.  Non credo che, con l’abbigliamento trasgressivo, la persona timida cerchi di superare le sue inibizioni relazionali, più che altro afferma sé stessa nel modo che gli è più congeniale.  Se dentro sei A, qualsiasi cosa faccia, resti A.  Ciò che il timido è oggi, è comunque il risultato della sua storia e della storia delle sue relazioni. Dunque è anche il risultato della sua timidezza.  La musica è sempre stato un terreno adatto ai timidi. In essa, possono esprimersi senza tattiche, strategie, sotterfugi, detto tra le righe (tutte da interpretare).  La musica non recita un ruolo, semplicemente è se stessa; non deve dimostrare, si mostra; non deve rappresentare, é.  Nel mondo delle relazioni umane, l’essere um

Le persone timide e gli altri

Le persone timide e gli altri

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Il rapporto tra le persone timide e gli altri è molto problematico. Watzlawick afferma che non è possibile non comunicare, qualsiasi cosa ciascuno di noi possa fare, comunichiamo. L’uomo comunica non soltanto in forma verbale, né solo in modo volontario.

Gian Emilio Malerba – Maschere

Postura, mimica facciale, sguardo, gestualità, modi del camminare, azioni e atteggiamenti, look, portamenti, persino il semplice aspetto fisico, sono tutti elementi che ci trasmettono un’idea dell’individuo con cui abbiamo a che fare. E ciò indipendentemente da quale sia la realtà delle cose.  Questi costituiscono il linguaggio non verbale che, per la verità, è preesistente al linguaggio verbale.

Più che fattori di trasmissione, si tratta di elementi che, attraverso il processo d’interpretazione degli eventi e delle cose che svolge la nostra mente, da significanti acquisiscono carattere di significato.

Ciascuno di noi interpreta ciò che sollecita i nostri sensi e/o la nostra attenzione, in funzione della nostra storia personale e sociale, le conoscenze, la memoria, gli schemi mentali, culturali, morali, etici. Interpretiamo gli eventi e le cose anche secondo lo stato emotivo del momento in cui riceviamo lo stimolo, il livello di attenzione che prestiamo a esso. L’interpretazione degli eventi e delle cose, non rappresenta la realtà in sé, cioè, ciò che è a prescindere; essa rapp

Linguaggio e aspettative

Linguaggio e aspettative

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Dire che qualunque cosa si faccia si comunica, non implica che il nostro comportamento, la nostra postura, la mimica facciale, possano significare, per gli altri, qualche cosa di univoco. 

Vincenzo Balsamo – arco baleno

Ogni persona interpreta gli stimoli che gli pervengono in funzione della propria storia culturale ed esperienziale, dei propri schemi cognitivi, della propria condizione emotiva del momento. Tuttavia, percepiamo alcuni tratti delle movenze umane secondo “canoni” istintivi che ci troviamo come bagaglio interpretativo sin dalla nascita. Infatti, un neonato è già capace di percepire, in senso negativo o positivo, buona parte delle mimiche facciali o il tono della voce nel nostro parlare.  Ciò nonostante, il senso o il significato di molte delle forme di linguaggio non verbale, è appreso per via esperienziale.

Un aspetto che va considerato, è che determinate movenze, posture o mimiche facciali, possono essere espressione del repertorio comportamentale automatico di un individuo.  (altro…)

Le abilità sociali

Le abilità sociali

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La competenza sociale o assertiva è data dall’abilità di un individuo nel riuscire a comunicare in modo aperto e chiaro con gli altri, riuscendo a soddisfare bisogni, diritti, motivazioni e aspirazioni con fare ragionevole senza procurare danno a istanze simili degli altri individui. Si esplica attraverso il repertorio sociale della persona che è costituito da elementi di espressione verbali e non verbali.

Renato Guttuso – liberté, egalité, fraternité

L’abilità sociale è, dunque, la capacità di utilizzare in modo efficace i canali della comunicazione interpersonale. Essa è il fattore motore dell’agire individuale nella socialità umana.

Cominciamo ad apprendere queste competenze sin dalla nascita, a partire dalla relazione con le figure di riferimento familiare, è un processo che dura tutta la vita, le cui fasi fondamentali, si dispiegano dall’età neonatale a tutta l’adolescenza, da zero a vent’anni.

Nelle persone timide, il proprio repertorio sociale è generalmente piuttosto ridotto se non assente, ciò è motivo di ulteriore disagio poiché rendendo difficile la comunicazione e l’espressione di sentimenti, emozioni e idee, limita fortemente la costruzione di relazioni sociali. La carenza di abilità sociali è povertà di capacità assertive. Le cause di tali insufficienze sono di carattere cognitivo e comportamentale, vale la pen