Prima Parte
Inizia con questo la prima delle quattro parti dell’articolo dedicato alle linee concettuali della mindfulness che rappresenta il punto di approdo attuale, della ricerca nel campo della psicologia, di tecniche e strategie per fronteggiare le varie forme di ansia sociale, e non solo.
Introduzione
Le problematicità della timidezza
La timidezza è una condizione mentale che produce, in varie forme, problemi adattativi nell’interazione con gli altri. La persona timida, è tale, in quanto soggetto sociale: fuori da tale contesto la timidezza non esiste.
Si tratta di forme di disagio che scaturiscono dal percepirsi diversi dagli altri o come soggetto sbagliato, e dal percepire determinati eventi, situazioni e comportamenti altrui, come forieri di minaccia, di rischio che può produrre sofferenza nella propria vita sociale: non a caso la paura caratteristica dei soggetti timidi è di trovarsi a essere esposti allo sguardo e al giudizio degli altri.
I potenti pensieri intrusivi
Benché la timidezza sia vissuta attraverso gli effetti negativi che produce, è un fenomeno di origine cognitiva. Il problema risiede, quindi, nel sistema cognitivo: nel mondo ora misterioso e sommerso, ora a pelo d’acqua, dei pensieri.
Il soggetto timido vive una sorta di continuo martellamento di pensieri intrusivi. Si presentano in varie forme, come immagini mentali, con le sembianze di emozioni, come sensazioni, come un “sentirsi”, come pensieri automatici negativi: a favorire la loro manifestazione ci si mettono anche le metacognizioni che sono stili del pensare di vario tipo come il pensare sui propri pensieri o sulle proprie esperienze interne.
I coping dei timidi e le conseguenze
Per far fronte alle proprie paure, le persone timide attuano comportamenti e stili di pensiero di affrontamento (coping). Lo scopo di tali strategie è evitare, a sé stesse, la sofferenza derivante dai fallimenti nell’interazione sociale. In realtà sono previsioni d’insuccesso, non fatti reali.
Infatti, gli individui timidi, procedono per previsioni, con la mente rivolta al futuro prossimo (rimuginìo), per poi precipitare nella ruminazione alla ricerca vana di ciò che non ha funzionato nella propria vita o degli errori nelle situazioni che hanno vissuto.
Gli stili del pensare, cioè il metodo o modo con il quale si affrontano le proprie esperienze interne, si poggiano su quattro fattori principali:
- L’attenzione, quindi l’eccessiva focalizzazione sulle sensazioni interne, fortemente condizionate dall’emotività.
- La ruminazione, il continuo ripensare alle trascorse esperienze infruttuose;
- La fusione, fenomeno d’identificazione di sé con i propri pensieri, emozioni, immagini mentali o sensazioni fisiologiche; l’insieme delle esperienze rivisitate con la memoria e vissute emotivamente come se si rivivessero nel presente.
- La preoccupazione per il proprio futuro prossimo che induce a un’esasperata attività di previsione.
In alcune tipologie di timidezza e in altre forme di ansia sociale, al soggetto ansioso si presenta anche il problema di come far fronte ai pensieri intrusivi e negativi. Infatti, nonostante non conoscono la reale portata e l’insieme delle implicazioni cognitive e comportamentali dei pensieri negativi, spesso, essi si rendono conto che il loro continuo ripresentarsi alla mente, costituisce un ostacolo per un normale svolgimento della propria vita.
La strategia di coping (modalità di affrontamento dell’esperienza) più in uso in questi casi è il tentativo di reprimerli, ma così facendo favoriscono l’insistenza della loro presenza nella mente.
L’attuazione comportamentale del lavoro mentale, con il quale, si completa l’intera strategia di coping, è l’evitamento che costituisce l’atto finale che dovrebbe comportare l’allontanamento dalla sofferenza psichica, sociale o fisica.
In realtà, l’evitamento produce il rinforzo di tutte quelle credenze e metacognizioni disfunzionali che fanno permanere il soggetto attivo nella condizione mentale della timidezza.