Uno degli aspetti più frequenti che si riscontrano nella timidezza, è la difficoltà nell’instaurare relazioni e/o una comunicazione soddisfacente con persone che non si conoscono.
Di fatto una persona è sconosciuta perché di essa si sa ben poco o nulla, appare con un’identità inesplorata, un’incognita che reca con sé un mondo celato. Di una persona sconosciuta, non si conoscono gli usi, i costumi, gli interessi, le passioni, l’indole, la personalità, il tratto caratteriale, la cultura.
Agli occhi di una persona timida, lo sconosciuto può apparire alieno, imperscrutabile e quindi impenetrabile. Un portatore di rischi non quantificabili, non individuabili, né qualificabili.
Chi non ha appreso modalità di comunicazione efficaci, si ritrova privo di schemi comportamentali di riferimento e di abilità sociali, tali da gestire in modo duttile o dinamico l’approccio di “scoperta” dello sconosciuto.
Ogni persona conosce esclusivamente quanto è presente nell’apparato cognitivo, sotto forma di schema interpretativo della realtà (credenze). Questo significa che solo quello che è patrimonio della propria esperienza, costituisce la sua conoscenza.
Il sistema cognitivo caratterizzato dalla timidezza, si trova a essere impreparato rispetto alle sue esigenze di valutazione e previsione, non avendo elementi di conoscenza con cui costruire un’attività operativa, resta interdetto, sospeso nell’indecisione tra il cosa e il come fare, proprio perché lo sconosciuto non è riferibile ad alcun modello cognitivo dato.
In questo contesto, a complicare ulteriormente le cose, entrano in gioco anche altre credenze che, nel soggetto timido, riguardano sé stesso o gli altri.
Quando a una difficoltà interpretativa, vengono ad aggiungersi credenze disfunzionali, la persona timida s’imballa.
La paura di essere giudicati male da una persona che non si conosce, dà luogo a pensieri caratterizzati da inferenze arbitrarie, ragionamenti dicotomici, catastrofizzazioni, lettura del pensiero, ragionamenti emozionali.
È chiaro che il timore di un giudizio negativo, fa leva su credenze di base che inducono il soggetto timido a percepirsi come persona inabile, incapace, indesiderata, debole, insignificante.
Gli individui timidi tendono spesso a confrontare sé stessi e le proprie capacità comportamentali percepite, con il comportamento di amici e conoscenti. Da questo confronto, ovviamente, si sentono perdenti: ciò accentua ancora di più il disagio che provano nei casi in cui la persona sconosciuta entra in relazione con il gruppo cui si appartiene.
Quando vengono a verificarsi condizioni mentali, come quelle cui ho accennato, il timido e la timida attuano tutti quei comportamenti che sono soliti porre in essere: si zittiscono, tendono ad appartarsi o a isolarsi dal gruppo, abbandonano il terreno, si estraniano mentalmente, il loro sguardo diventa assente, il viso acquisisce un tono mesto, tendono a incurvarsi ancora di più, gli occhi puntano sugli oggetti che gli sono prossimi o nel vuoto.
Inevitabile diventa a questo punto, il precipitare del proprio livello di autostima, dello scoramento, tendono ad auto biasimarsi, a condannare sé stessi e, al tempo stesso, a sentirsi totalmente impotenti e incapaci confermando, così, ulteriormente la validità delle proprie credenze negative (rinforzo).