Tra comunicazione non verbale e costumi consolidati nel comportamento umano, esiste una relazione di reciprocità: da una parte, i costumi che diventano elementi fondanti di modelli comportamentali sociali, subiscono l’influenza dei significati assegnati dalle interpretazioni delle azioni umane non verbali e dei valori a essi collegati; dall’altra, il conferimento di significati ai comportamenti umani (linguaggio non verbale) è contagiato dall’uso storicizzato dei costumi.

Tiziana Trezzi – al di la…incontro allignoto

Uno dei risultati di tale relazione di reciprocità è la cultura dell’apparenza. Questa incide nella vita delle persone in funzione dell’importanza che ciascun individuo le conferisce.

Le persone timide vivono spesso il problema dell’apparenza e dell’apparire con estrema tragicità. 

Con il tema dell’apparire entrano in gioco, l’idea di sé rispetto agli altri, e il problema dell’accettazione sociale.

Le idee disfunzionali di sé che l’individuo timido, nel suo dialogo interiore, pone in relazione agli altri, fanno capo a: 

  • Credenze di base che lo definiscono come soggetto, in qualche modo, inadeguato;
  • Ad assunzioni, motti e credenze regolanti collegate all’idea di una personale inadeguatezza;
  • A precetti provenienti dall’esterno, spesso familiari, di gruppo o ambientali, che si fanno proprie, anche morbosamente;
  • A metacognizioni strategiche di affrontamento.

Tutte queste cognizioni che, in sintesi, sono pensieri, fanno sì che la persona timida si sente un soggetto sbagliato, debole, esposto al rischio di essere considerato un esemplare inidoneo alla vita sociale e/o all’accoppiamento.

Sappiamo che, allo stato cosciente, le credenze più che manifestarsi per via diretta si manifestano per mezzo di percezioni, sentori, e pensieri automatici negativi. Spesso si manifestano in forma di emozione e ciò, nei soggetti timidi, produce una difficoltà oggettiva nel discernere tra pensieri ed emozioni, tra processi puramente cognitivi e manifestazioni psicofisiologiche. Problematicità che si riscontra anche nella distinzione tra fatti, pensieri ed emozioni.

Giacché la timidezza, nella vita relazionale quotidiana, si manifesta per mezzo dell’inibizione ansiogena, i comportamenti all’esterno risultano essere impacciati, ripiegati su sé stessi, evitanti, indecisi, inespressivi, assenti, privi di personalità e carattere.

Percependosi incapaci di gestire efficacemente determinate relazioni sociali, che spesso si verifica per via dell’inibizione nella comunicazione, gli individui timidi tendono ad associare la timidezza alla debolezza. Facendo spesso di quest’ultima un fattore caratterizzante nella definizione del sé.

A sua volta, l’idea della debolezza è associata a quella d’incapacità, inettitudine, insignificanza, impotenza, mediocrità o insufficienza, l’essere banali, inutili. Ciascun soggetto timido da queste prime associazioni d’idee o d’immagini, ne fa poi discendere un’altra vasta gamma di definizioni tutte di segno negativo.

Nel momento in cui il problema della competenza schiaccia la persona timida in una percezione negativa di sé, essa si sente trasparente e, a quel punto, comincia a indagare alla ricerca di conferme del proprio timore, lo fa cercando segnali dimostrativi della propria presunta inadeguatezza nei comportamenti altrui e nei propri fallimenti.

I soggetti timidi raramente sono coscienti o hanno consapevolezza di operare questo loro processo cognitivo di controllo, in effetti, si tratta di dinamiche psichiche che, una volta divenute strategie abituali, acquisiscono carattere di automaticità. 

Essi scrutano gli altri e analizzano spietatamente sé stessi convinti che, in questo modo, possono capire e risolvere i problemi che li attanagliano; nella realtà restano impantanati in una logica confermativa e di rinforzo delle proprie credenze disfunzionali restando, peraltro, incagliati in questa loro strategia metacognitiva che non fa altro che alimentare i processi di preoccupazione, rimuginìo e ruminazione.

Ovviamente, se l’idea della personale timidezza è associata a valenze negative, l’individuo timido non può che vivere anche il problema dell’accettazione sociale.

Nel suo dialogo interiore, la possibilità di apparire timidi e, quindi, deboli e inadeguati, lo conduce a pensare di essere oggetto di osservazione, valutazioni negative da parte degli altri. 

I giudizi negativi altrui sono un grande spauracchio per tutte le persone timide e gli ansiosi sociali in generale, costituisce la paura principale che essi percepiscono coscientemente. 

Molti dei pensieri automatici negativi, soprattutto a carattere previsionale, vertono su questo tema.

L’idea di essere oggetto del giudizio negativo altrui implica il rimuginare successivo su altre conseguenze: il fallimento totale come persona e come soggetto sociale, la non accettazione da parte degli altri che produce esclusione, isolamento, emarginazione, solitudine.

 

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