Molto comune tra le persone timide e gli ansiosi sociali, in generale, la procrastinazione si manifesta con molteplici funzioni strettamente correlate: è uno stile metacognitivo, una forma di evitamento cognitivo, un comportamento evitante.

Luigi Zizzari – procrastino

Come stile metacognitivo potremmo dire che nasce dall’assunzione che è meglio rinviare ogni decisione o scelta quando non c’è certezza di un risultato positivo oppure quando un buon esito può generare un vuoto di modelli cognitivi.

Qui l’intolleranza dell’incertezza può essere considerata come la chiave di lettura della strategia procrastinatrice, ma con diverse “venature”.
Mentre la mancanza di certezza di un risultato positivo apre la strada ai pensieri catastrofici, il timore di un vuoto di modelli cognitivi attinge in modo più diretto a credenze di base inerenti l’idea d’inadeguatezza. Quest’ultimo aspetto è particolarmente sentito anche nei casi di resistenza al cambiamento che si verifica durante la psicoterapia.
Se la mancanza di certezza risponde a una logica dicotomica e a un ristretto ventaglio di opzioni interpretative, il vuoto cognitivo pone, il
soggetto ansioso, di fronte al problema di una forte carenza di abilità nel problem solving e al timore di una mancanza di riferimenti.
Qualche esempio lo possiamo individuare in un pensiero del tipo: “se risolvo questo problema, dopo sarò costretto a dimostrare la mia abilità”.
Come forma di evitamento cognitivo la procrastinazione muove dall’indecisione, dall’insicurezza, fattori che alimentano il disimpegno motivazionale. L’emozione della paura è qui sentita in maniera più forte e con maggior coscienza rispetto alla manifestazione metacognitiva. L’idea dell’inadeguatezza si fa strada già nei pensieri automatici negativi, spesso come “timore di”. 
L’evitamento cognitivo fa anche i conti con i timori degli esiti negativi e del fallimento, e questi, sottintendono fortemente quello della sofferenza, giacché, in questi casi, la paura è, sostanzialmente, paura della sofferenza.
Possiamo dire che l’evitamento cognitivo si delinea come antiscopo, finalizzato, cioè, a evitare la sofferenza.
“Non mi preparo bene per l’esame, così se non lo prendo, ci sto meno male”, con questo ragionamento una ragazza giustificava il suo scarso impegno nella preparazione degli esami. La sofferenza che avrebbe provato nel caso di una bocciatura a fronte di un serio impegno di studio, sarebbe stata, per lei, terribile.
Come comportamento evitante. Naturalmente, i fattori attivanti di questi processi cognitivi, che conducono anche alla procrastinazione comportamentale, sono le credenze di base. 
Qua non possiamo che tornare a considerare quelle definizioni del sé che fanno riferimento ai concetti d’incapacità, d’inabilità, di non attraibilità, di difettosità.
Infatti, nel momento in cui si trova a dover valutare, sulla base delle proprie qualità, le possibilità e le probabilità di fronteggiare efficacemente eventi e situazioni, di fronte a descrizioni negative delle personali prerogative, la nostra mente non può che generare pensieri previsionali che delineano esiti negativi.
Solo chi ama il rischio scommette su un cavallo perdente!
Purtroppo, queste dinamiche funzionano come strumento di conferma e rinforzo di credenze e meta credenze disfunzionali.
La procrastinazione, in quanto modalità evitante, non offrendo la possibilità della verifica esperienziale, non permette alcuna possibilità d’invalidazione delle credenze errate.
In conclusione, possiamo riassumere che:
  • Il procrastinare è l’epilogo comportamentale di un’attività mentale che coinvolge schemi cognitivi e metacognizioni, tutti in riferimento all’idea d’inadeguatezza.
  • L’idea d’inadeguatezza che sottende la procrastinazione attiva flussi di pensieri negativi che inducono la paura della sofferenza e processi cognitivi demotivanti.
  • La procrastinazione implica evitamento cognitivo e presuppone uno stile metacognitivo disfunzionale.
  • L’atto della procrastinazione è un comportamento evitante.
 
 

 

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