La rabbia che scaturisce dalle esperienze emotive dei soggetti timidi e degli ansiosi sociali, può orientarsi in due direzioni, nei confronti degli altri e verso é stessi.

Maria Rita Renatti – i am a monster

Quando la rabbia è rivolta verso sé stessi, i pensieri dominanti sono quelli indirizzati verso una spietata e severa autocritica.

La persona timida si rimprovera per non aver saputo gestire la situazione, per non aver saputo controllare sé stessa, per non aver saputo cogliere le implicazioni, i significati, gli eventi prevedibili.

La rabbia diventa espressione della valutazione di un’esperienza come di fallimento di sé come soggetto sociale, di sé come individuo, ma anche dolore di una sconfitta, per il proprio fallimento, per la propria presunta inadeguatezza.

In questo caso non c’è tanto la non accettazione dell’esperienza, quanto la non accettazione di sé stessi. Non a caso la rabbia rivolta verso di sé è spesso seguita e/o accompagnata anche da sensi di colpa.

L’individuo timido arroga a sé le cause e/o le colpe dell’interazione finita male. 

Alla base di queste valutazioni negative ci soni i bias, che sono distorsioni degli schemi cognitivi con cui valutiamo le situazioni; si tratta di modi del ragionamento condizionati da pre-giudizi radicati che si formano nella nostra mente in funzione di assunzioni, credenze e modelli metacognitivi disfunzionali. 

Una delle principali distorsioni del ragionamento è l’astrazione selettiva.

Nell’ansia sociale la rabbia rivolta verso sé stessi implica l’attivazione di credenze negative sul sé. 

Parliamo di credenze che possono definire sé stessi come individuo inabile nell’interazione sociale; incapace nel fronteggiare con efficacia le situazioni che implicano la possibilità del giudizio negativo altrui; di essere poco amabili o attraenti come persona. 

Queste idee rimandano a un’altra implicazione cognitiva: la perdita di appartenenza

Qua il quadro concettuale del sé non comporta idee e sentimenti di sofferenza parziali, il fallimento riguarda la totalità di sé stessi in quanto persona.

Non a caso anche il sentimento di rabbia è strettamente correlato alla bassa autostima.

Quando la rabbia è rivolta verso l’esterno si attivano le credenze negative sugli altri o quelle sul mondo inteso come consesso sociale. 

La figura dell’altro appare come un ente giudicante ed escludente. L’idea dell’emarginazione, dell’allontanamento, del distacco, della mancanza di considerazione, si collega anche all’idea dell’altro come portatore di danno, generatore di cattiverie e di offese, attore attivo che agisce contro, anche con volontà.

La cognizione del mondo sociale, in questi casi, va nella direzione di una società piena di trappole, retta da regole di convivenza ispirata alla sopraffazione, la fossa dei leoni. È l’idea di una società strutturata a dimensione dell’uomo forte e cinico.

La rabbia, in questi casi, può considerarsi la risposta alla percezione di rifiuto d’appartenenza che si ritiene di subire, oppure essere espressione di un sentimento di umiliazione che la persona timida sperimenta nell’interazione sociale.

L’ansioso sociale si percepisce come un indesiderato e, pertanto, vive i rifiuti, le esclusioni, le sconfitte e ciò che subisce, come la risposta di un ambiente indisponibile e/o violento.

La rabbia è non accettazione dell’esperienza o della condizione e, al tempo stesso, dolore o sentimento di disperazione per una perdita, repressione di un impulso di reazione fattiva.

La ruminazione è il processo cognitivo cui maggiormente possiamo associare il sentimento della rabbia. 

Le persone timide passano e ripassano, nelle loro ruminazioni, gli eventi che hanno comportato ciò che essi hanno vissuto come il crack della propria interazione: la mente è pervasa, in una rigida cornice negativa, da pensieri cupi, immagini mentali, flashback, tutti che appaiono alla valutazione come testimonianza del loro fallimento e dimostrazione della validità delle credenze e metacognizioni disfunzionali che costituiscono parte del loro sistema cognitivo.

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