SECONDA PARTE
Le persone timide in amore, proprio per l’effetto che le credenze negative che hanno su di sé, sono dominate dalla paura: timore di fallire, di essere respinti, di essere inopportuni, di non essere capaci di rapportarsi, di apparire ridicoli o inaccettabili, di diventare oggetto dell’ilarità o del giudizio altrui.
Fondamentalmente, hanno il timore di base che le inadeguatezze che pensano di avere diventino evidenti agli occhi della persona oggetto del sentimento d’amore e, pertanto, di andare incontro a un insuccesso.
Gli schemi cognitivi disfunzionali, caratteristici nella timidezza d’amore, si concludono, generalmente, con metacognizioni e pensieri automatici negativi a carattere previsionale, che possono presentarsi sia in forma verbale, sia in quella di immagini.
Ad esempio, pensieri del tipo: “e se non le/gli interesso?”, “Lei/lui non mi caga proprio”, “mi dirà di no e farò la figura del fesso”, “… magari mi riderà anche in faccia”, “se mi dice di no, è meglio che non mi faccio vedere in giro per un bel po’”, “mi rifiuterà, non ci so fare”, “non sono neanche cosa dovrei dire”, “si accorgerà che sono un imbranato e penserà che sono un fallito”, “sarò il solito imbranato/a e mi rifiuterà subito”.
I pensieri in forma di immagini mentali si presentano, in genere, come una sorta di istantanee flash che possono fissare volti che esprimono emozioni di rifiuto o di dileggio sia della persona oggetto del sentimento d’amore, sia di eventuali testimoni che ispirano il timore di giudizio negativo, sia momenti propri del rifiuto o dell’insuccesso. Le immagini mentali possono anche presentarsi in forma di “video” mentale ma di durata brevissima che si consumano in un arco temporale di qualche secondo.
I pensieri previsionali che presagiscono sempre esiti negativi, sono dunque quelli che producono una sopra valutazione esagerata della minaccia (il rifiuto, l’insuccesso, il fallimento, giudizio negativo altrui, eccetera). Questa valutazione di rischio elevato, vissuta come prossima o coincidente con la realtà, innesca i fenomeni emotivi e i sintomi d’ansia. Queste ultime, però, generano altre attività cognitive e metacognitive alimentando un processo circolare dell’intera attività di pensiero.
Gli evitamenti, le elusioni totali o parziali, la fuga, costituiscono il comportamento condizionato risultante sia dal processo cognitivo, sia dalle emozioni negative, sia dai fenomeni d’ansia e dall’interazione di questi tre fattori tra loro. Tuttavia, benché i comportamenti siano l’epilogo di una determinata situazione, svolgono anche una funzione di rinforzo dell’insieme degli schemi cognitivi e metacognitivi producendo, nel tempo, la perpetuazione della timidezza d’amore.
L’insieme di tutte queste attività, cognitive, metacognitive, emozionali, ansiogene e comportamentali, determinano un fenomeno circolare che imprigiona il timido d’amore. Egli resta prigioniero di schemi mentali, stili di pensiero, comportamenti che diventano abitudinari e automatici, che lo inducono, ad ogni analoga situazione, a ripetere, quasi pedissequamente, sempre lo stesso iter cognitivo e comportamentale.
Nella timidezza d’amore, ma anche in tante altre forme di timidezza, quando ci si rende conto del carattere reiterativo e storicizzato dell’insieme dei propri comportamenti e dei propri insuccessi, subentra anche la rassegnazione passiva alla propria condizione, fatto questo che può sfociare nella psicopatologia, veri e propri disturbi d’ansia o dell’umore.