La timidezza esplicita un sentimento di paura e questo, a sua volta, è la reazione emotiva alla percezione di sé o degli altri.
Sappiamo che i sentimenti di paura, insieme alle conseguenze derivanti dai propri comportamenti, sono gli unici fattori di cui una persona timida è realmente consapevole.
Tutte le altre valutazioni “coscienti”, che un soggetto timido fa su sé stesso, sono attribuzioni di causa errate, in quanto costruite su modelli interpretativi della realtà fortemente influenzate dalle proprie condizioni emotive.
La persona timida tende a valutarsi in funzione dei risultati che ricava dalla sua interazione sociale, di ciò è portato a prendere in esame solo gli elementi negativi. Nonostante siano coscienti che le esperienze negative sono un portato della timidezza, finiscono con l’assecondare proprio quelle istanze interiori che sono le generatrici del proprio disagio.
Nel tentativo di cercare una risposta ai perché che si pongono, sono spinti a ritenere che i loro problemi siano da ascrivere a sé stessi, purtroppo individuano il campo di analisi sbagliato.
Perché accade?
Il nocciolo della questione verte sulle credenze di base. Queste, risiedendo a un livello inconscio, non sono vissute in modo consapevole ma influiscono, in maniera determinante e condizionante, sui pensieri, sulle interpretazioni e valutazioni degli eventi, sui processi cognitivi di previsione, sulle valutazioni riguardanti le capacità, le abilità e le potenzialità della propria persona, sulle interpretazioni dei comportamenti altrui.
Parte delle credenze di base riguardano la percezione della propria identità. È sulla base di questa che le persone timide, e gli ansiosi sociali, costruiscono il giudizio di sé.
Le credenze riguardanti l’identità personale cominciano a formarsi dalla nascita e già nei primi anni di vita, l’essere umano ha una precisa idea di sé.
La formazione dell’idea di sé dipende:
- Da come, il nascituro prima e il bambino dopo, percepisce il comportamento di coloro che lo accudiscono, i genitori in primo luogo e le altre figure operanti in seconda istanza.
- Dallo stato emotivo attraverso cui sono filtrate le esperienze e gli stimoli provenienti dall’esterno, ivi compreso la percezione dei comportamenti altrui.
- Dai modi e dalle forme in cui si presentano gli stimoli stessi.
Dal momento in cui l’idea di sé ha un impianto di base acquisito, tutti i pensieri e le valutazioni riguardanti sé stessi, operano in continuità e coerenza con esso.
Con il passare del tempo, coerenza e continuità di pensieri con l’idea base di sé, costituiscono conferma e rafforzamento della stessa credenza di base.
Quando l’ansioso sociale mette mano a una valutazione della propria persona, non può più evitare di prescindere dai convincimenti profondi che si sono determinati, anche perché il livello inconscio di queste determinazioni non ne permette una gestione consapevole: egli emette dei giudizi su di sé senza essere realmente conscio dell’intero processo cognitivo che lo conduce a tali valutazioni.
Nonostante il giudizio di sé sia condizionato da processi inconsci, alle attività di pensiero cosciente esso appare del tutto logico, ragionevole, evidente, incontrovertibile, assume valenza di certezza o addirittura di ovvietà.
Non è un caso, infatti, che i timidi e gli ansiosi sociali in generale, tendono a fare resistenza o a mostrare avversità nei confronti di tutte le ipotesi interpretative che si muovono in discordanza con quelle elaborate in prima persona.
Questo mostrare avversità si verifica non solo verso i giudizi sintetici ma anche nei confronti di concetti e idee implicite che costituiscono l’insieme di un sistema logico che comportano sia l’invalidazione delle credenze di base, sia la falsificazione del sistema logico cosciente adottato dal soggetto timido.
Il giudizio di sé, che nelle persone timide ha sempre una valenza negativa, condizionando, in modo determinante le attività di pensiero, genera anche una persistente mancanza di fiducia nei propri mezzi, che si esplicita nella scarsa autostima; quest’ultima, essendo avvertita in modo consapevole, diventa spesso oggetto di attribuzione di causa, perché esprime la motivazione finale, consciamente percettibile, dei comportamenti che vengono attuati.