Quando una persona timida dice “non mi so esprimere”, ci informa, implicitamente, di quattro cose:
- Ha un atteggiamento giudicante di sé stessa, in senso negativo.
- Ha la tendenza ad auto svalutarsi facendo, emergere una bassa autostima.
- Non conosce a sufficienza modelli d’interazione sociale.
- Ci informa di una probabile storia personale vissuta in un ambiente inadeguato a trasmettere abilità sociali.
La difficoltà nell’esprimersi può essere originata da diversi fattori, spesso compresenti e interagenti tra loro. In certi casi, tra questi fattori, vi può essere anche una relazione causale che implica componenti originari e indotti.
L’apprendimento di modelli d’interazione, cioè di abilità sociali è, forse, l’aspetto più diffuso tra le cause che conducono i soggetti timidi ad avere difficoltà nell’esprimersi.
L’apprendimento si acquisisce nell’interazione sociale, per via emulativa, per similitudine, per mezzo di esempi, per prova ed errore, come trasmissione culturale.
L’intera fascia temporale, che va dalla prima infanzia all’inizio dell’adolescenza, è essenziale per l’assimilazione di modelli d’interazione funzionali all’adattamento efficace alla vita sociale.
Una famiglia carente nei comportamenti assertivi, oppure repressiva, o iperprotettiva, o con gravi problemi d’inserimento sociale, oppure disastrata al proprio interno, o in cui le figure di riferimento sono soggetti che presentano livelli di problematicità, costituisce una forte barriera che s’interpone tra il bambino o l’adolescente e l’apprendimento delle necessarie abilità sociali.
Il mancato apprendimento di modelli comportamentali e di relazionamento, limita decisamente le possibilità di comunicazione sociale, la gestione della stessa e delle relazioni interpersonali. Pertanto, l’individuo timido, che ha tali problemi, ha uno scarso repertorio di comportamenti verbali e non verbali e ciò gli impedisce un relazionamento efficace e funzionale; viene, perciò, a trovarsi in una condizione di handicap che lo condanna all’isolamento.
Vi sono, però, casi in cui una persona timida, pur essendo in possesso di sufficienti abilità sociali, non riesce a esplicarle.
Accade quando entra in gioco l’inibizione ansiogena.
A giocare questo brutto scherzo, sono l’insieme dei pensieri negativi che affollano la mente, sia nello stato cosciente, sia nel livello inconscio.
Si tratta di schemi cognitivi disfunzionali che chiamano in causa sia le credenze di base (definizioni del sé e degli altri), sia le metacognizioni (credenze intermedie, stili e modalità del pensare), sia i pensieri automatici negativi.
Infatti, nel momento in cui il pensare negativo si profila nella mente del soggetto timido, si attivano le funzioni neurologiche che producono le emozioni negative (paura), e la conseguente predisposizione dell’organismo alla lotta o alla fuga (sintomi dell’ansia) e, quindi, l’inibizione ansiogena: l’impappinamento, l’impaccio, il blocco fisico o mentale, l’afasia, l’inefficienza delle attività motorie, eccetera.
L’ansioso sociale è travolto da pensieri negativi previsionali (“e se mi blocco?”, “Mi andrà male come al solito”, “penseranno che sono un incapace”, “finirò col sbagliare tutto”); da pensieri negativi di auto valutazione (“non ci so fare”, “questa cosa non è per me”, “sono inferiore a loro”, “questo è troppo difficile”); da immagini mentali di fallimento come, ad esempio, immaginarsi le facce perplesse di figure di riferimento o la derisione di persone conosciute; da pensieri catastrofici (“con quale faccia potrò farmi vedere in giro?!”, “Se mi va male, sarà un vero fallimento”); da sensazioni negative (“sento che non sono pronto”, “o brutti presagi”, “mi sento tutti gli occhi addosso”).
L’idea del fallimento e dell’incapacità, conduce alla valutazione di ogni situazione come contenente una minaccia o pericolo (materiale o immateriale) immanente, certa o ad altissima probabilità che possa verificarsi.
L’idea dell’insuccesso innesca l’inibizione ansiogena, per cui, se la persona timida tenta di affrontare la situazione, piuttosto che evitarla, lo fa con una gran paura addosso e con vari sintomi d’ansia come, ad esempio, una gran quantità di fasce muscolari contratte inutilmente e che rendono meno sciolti i movimenti, sudorazione, battito cardiaco accelerato. L’ansioso sociale, in questa condizione, pur cercando di vivere l’esperienza, viene a trovarsi in una sorta di blocco parziale delle proprie capacità fisiche e cognitive. Tutto ciò lo porta a non riuscire a utilizzare appieno, e in modo funzionale, tutto il proprio repertorio di abilità sociali.