Da un punto di vista neurologico sappiamo che questa manifestazione, che rappresenta nella cultura simbolica collettiva, la timidezza, è correlata a un aumento delle attività dell’amigdala, che è una struttura del sistema limbico, ed è deputata alla gestione delle emozioni e interagisce nei processi di comparazione tra gli stimoli che riceve e le esperienze trascorse.
Secondo alcuni studiosi, la colorazione rossa, è una cortina tendente a coprire la parte del corpo più esposta alla comunicazione sociale, ma paradossalmente, produce l’effetto opposto, rendendo evidente un forte stato emotivo.
L’arrossire è dunque la manifestazione fisica di uno stato emotivo che generalmente esprime una condizione di vergogna o d’imbarazzo.
Quando si manifesta questo fenomeno, la persona timida, può vivere particolari esperienze che sono sostanzialmente classificate in tre forme:
- Il desiderio di scomparire, diventare invisibile; il timido in questa condizione si sente sprofondare, diventare un’entità infinitesimale, ridicolo, insignificante, può anche provare il sentimento dell’umiliazione.
- La pietrificazione, il sentirsi o l’essere bloccati, l’irrigidirsi, sensazioni che possono anche essere accompagnate da sudorazione; il soggetto timido, non sa come reagire, si sente incapace di rispondere in quella circostanza.
- Il senso di nudità, la persona timida è cosciente del carattere evidente di tale fenomeno che è sotto gli occhi di tutti, si sente disarmata, è esposta non solo all’osservazione ma anche al giudizio degli altri, sente di essere stata scoperta nelle fragilità della propria intimità.
Questa manifestazione fisica può avere sia un carattere episodico, sporadico, puramente situazionale, sia una caratteristica reiterativa e disabilitante nelle attività di carattere relazionale. Quando questo fenomeno acquisisce carattere reiterativo, nell’individuo ansioso subentra una vera e propria fobia. Egli comincia a vivere nella paura di arrossire, e più questo timore è forte, più facilmente si manifesta il rossore: diventa un vero e proprio incubo.
Essendo una manifestazione legata alle emozioni della vergogna e dell’imbarazzo, il rossore in volto è dunque strettamente collegato alle idee dell’errore, dell’insuccesso, di contravvenzione alle regole sociali, di proprie inadeguatezze. Secondo alcuni teorici l’arrossire è definibile come causa e conseguenza di un’eccessiva consapevolezza del sé; personalmente ritengo che tale fenomeno sia da considerare come l’emersione dell’idea di sé, sia come individuo, sia come soggetto sociale, esplicitazione che l’ansioso sociale vive non come attività della mente, ma come dato di fatto concreto.
Con l’arrossire, gli individui timidi possono provare il sentimento del fallimento, di una propria presunta inutilità, così come quello dell’autoumiliazione, ma anche l’evidenziarsi di fragilità, di debolezze, di supposte carenze caratteriali.
Generalmente, le persone timide, ma anche gli ansiosi sociali in generale, vivono questa condizione quando si trovano a ricoprire un ruolo che li rende primi attori, al centro dell’attenzione altrui, e ciò indipendentemente se tale ruolo è volontario, incidentale o determinato da altri. Infatti, si può arrossire in situazioni in cui ci si deve esibire in una qualche attività di lavoro, artistica o di altro genere, così come può accadere come risposta a osservazioni o quesiti posti da altri sia riguardanti argomenti generali, sia riguardanti la sfera personale del soggetto ansioso, può anche succedere che scaturisca da un evento imprevisto.
Ciò che però tutte queste situazioni hanno in comune, è l’attivazione di credenze disfunzionali di base nel soggetto timido, con il conseguente carico delle credenze regolanti e dei pensieri automatici negativi.
Nell’ansioso sociale, queste attività cognitive sono caratterizzate da processi di valutazione auto giudicanti che spesso sono alla base dell’insorgenza delle emozioni della vergogna o dell’imbarazzo.
Nella mente della persona timida, l’auto giudizio si manifesta con frasi tipo “che figuraccia”, “che fregatura”, “mi sono fottuto/a”, “adesso che penseranno di me?”, “come sono ridicolo/a”, “il mio ennesimo fallimento”, “ci sono ricascato/a”. Possono anche sopravvenire semplici immagini mentali, fermo immagini su visioni che esprimono tutto il senso del fallimento; talvolta il rossore non si traduce, nel dialogo interiore, sotto forma di linguaggio verbale, né nella forma d’immagini, ma espresse in termini di coscienza pura, l’essenza dell’idea.