Prima parte


Da un punto di vista fisiologico, la paura è attivata dall’amigdala che, come sappiamo, è una struttura specializzata nelle emozioni. 
L’amigdala è una sorta di archivio di memoria delle emozioni e del significato degli eventi a esse collegate, è il nucleo valutativo degli stimoli in entrata e dunque delle esperienze emotive. Ma è anche una centrale d’allarme, è come se, a ogni percezione, si chiedesse: “si tratta di qualcosa di pericoloso?”, “Nella mia memoria risulta che sia qualcosa di cui temere?”, “È qualcosa di spiacevole o che detesto?”. Se a queste domande la risposta è affermativa, l’amigdala invia l’allarme in varie direzioni nel cervello, stimola la secrezione di ormoni per innescare una reazione di difesa, attiva varie altre parti e apparati del corpo. 

Ma veniamo al punto di vista che ci interessa più da vicino, quello cognitivo. 

Albrecht Durer – uomo disperato

Quando siamo sottoposti a uno stimolo, interno o esterno, materiale o immateriale, la nostra mente lo acquisisce come elemento di conoscenza, se il processo cognitivo lo valuta come fattore di rischio concreto, di pericolo al dominio personale, subentra la paura.

Essendo attinente al dominio personale, il pericolo percepito è quello arrecato alla propria persona, che può essere materiale o immateriale, diretto o indiretto, fisico, economico, affettivo, eccetera.

Anche se appartiene alla sfera emotiva, la paura è un fenomeno di origine cognitiva, costituisce la presa di coscienza di un pericolo, reale  e/o probabile; è un’idea che, partendo dalla configurazione contingente del presente, dispiega le sue valutazioni in riferimento al futuro, il quale può essere relativo sia a un momento imminente, sia a un futuro prossimo. 

La collocazione temporale del rischio è collocata nel futuro perché la valutazione dell’evento-stimolo riguardano le conseguenze che da questo ne derivano.

Se nella nostra mente non si insinua un pensiero valutativo riguardante quanto sta accadendo e che svolge una previsione sul possibile scenario che può determinarsi, la paura non può sussistere.

Si tende spesso a identificarla con l’ansia. In realtà, la paura è una manifestazione percettiva che fa ampio riferimento alle esperienze e al valore che ogni individuo attribuisce a sé stesso, soprattutto in termini di capacità, e pertanto, è molto ben definita. L’ansia, diversamente, è un fenomeno emotivo di seconda istanza, che può reagire a stimoli anche poco definiti, che non ha un reale legame con la storia del soggetto poiché è l’esplicitazione di uno stato d’animo di tensione, è fenomeno conseguenziale.

Infatti, la relazione tra paura e ansia è quella esistente tra uno stimolo e la risposta ad esso.

Solo dopo che la nostra mente percepisce uno stato di pericolo reale, apparente o presunto che sia, e che si manifesta con la paura, subentra l’ansia come risposta emotiva all’elaborazione ideale dello stimolo.

Un aspetto importante della paura, è che ruota intorno al tema della sofferenza e al sentimento della perdita. 

Nel momento in cui l’individuo percepisce un pericolo che va a intaccare la propria sfera personale, questo è vissuto inevitabilmente come qualcosa che procura sofferenza. 
Un ragazzo timido guarda a distanza la donna che ama e pensa che un suo rifiuto gli procurerebbe molta sofferenza e la perdita definitiva dell’oggetto amato, una donna evita di entrare nella sala comune dell’ostello dove vive, pensando che tutti la considererebbero una persona stupida e per lei sarebbe una sofferenza ancor più grande se ciò accadesse, un uomo in pro
cinto di intervenire in un congresso ipotizza che potrebbe ammutolirsi per effetto dell’ansia e immagina il suo fallimento, una ragazza si dispera per i suoi silenzi e immagina di perdere il suo moroso. La sofferenza e la perdita sono il luogo di arrivo di ogni pensiero mosso dalla paura. 

La paura è un’emozione propria del mondo animale, ma produce comportamenti ed emozioni che assumono valenza patologica o quasi in talune persone, o restano confinate in limiti ben definiti in altre. 

ALLA 2° PARTE

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