Nelle forme di ansia sociale si registra un’elevata focalizzazione su sé stessi.

Queste auto focalizzazioni, costituenti l’attività preminente che si svolge nel dialogo interiore, si manifestano sia sotto forma d’immagini mentali, sia come immaginazione scenica in movimento, sia nella forma verbale.

Francesco Clemente – giardino interiore

La ragione principale è probabilmente dovuta dal fatto che gli individui timidi si sentono diversi rispetto agli altri. Una tale percezione di diversità non può che fare riferimento a credenze di base disfunzionali che delineano una definizione di sé come soggetto, a vario grado e titolo, inabile nelle attività di relazione interpersonale, incapace a far fronte con efficacia a eventi e situazioni che possono prefigurare giudizio negativo altrui, essere in una condizione d’inferiorità culturale o sociale, non essere in grado di reggere la competizione, non essere persona amabile, non essere sufficientemente interessante o attraente come persona.

Il percepire sé stessi negativamente è una caratteristica fondante della condizione di persona timida, nella fobia sociale, nel disturbo evitante della personalità, e in altre forme di ansia sociale.

Una tale percezione negativa del sé, induce gli ansiosi sociali a porsi continuamente in rapporto alle situazioni temute in termini di elevato rischio di fallimento.

Quando si trova in una situazione o nel doverla affrontare, nel suo dialogo interiore, il soggetto timido, valuta le sue possibilità di riuscita. Giacché i suoi pensieri orientati alla previsione degli esiti di eventi temuti, conducono sempre, sistematicamente, a conclusioni negative, egli attua comportamenti che, di volta in volta, possono essere, evitanti, elusivi o fuga.

Se le scelte sono evitanti o elusive, l’individuo timido ritiene sempre di dover confermare l’attendibilità delle proprie previsioni negative ma, soprattutto, rinforza la validità delle credenze di base disfunzionali e l’ulteriore radicamento delle credenze regolanti. 

Poiché è convinto che le previsioni negative si concretizzeranno, quando la scelta è la fuga in avanti, cioè affronta la situazione, egli la vive in una condizione di forte emotività, con grande timore di fallimento e in uno stato d’ansia elevato. 

In tali condizioni i suoi comportamenti e le performance risentono in modo significativo del suo percepirsi vulnerabile: quanto più l’ansioso sociale è pervaso dai pensieri automatici negativi tanto maggiore è la probabilità che le sue previsioni negative si realizzino. 

In questo contesto, a fatti avvenuti, il rimuginìo si fa più incessante: l’esperienza negativa acquisisce significato e valore assoluto e, pertanto, rinforza e conferma le credenze di base disfunzionali, nonché le proprie assunzioni, i motti, i leitmotiv, le regole che vanno a costituire l’insieme delle credenze intermedie disadattive.

Queste attribuzioni di sensi e significati assoluti fanno sì che la focalizzazione su sé stessi e, sulle proprie prerogative in termini di abilità, capacità, attendibilità, attraibilità, si muove su un’attività di valutazione cognitiva prettamente emotiva.

Le distorsioni cognitive, in questi contesti, la fanno da padrone. Un singolo evento, un comportamento puramente situazionale, un insuccesso che dovrebbe essere collegato alla specifica configurazione dei fatti contingenti di quel preciso momento, diventano elementi delineanti la definizione del sé, nella sua interezza. Così che la realtà oggettiva cede il primato alla verità emotiva.

Nella timidezza, quando la percezione del sé si sposta sui binari delle valutazioni emotive, diventa ancor più preminente il bisogno dell’autocontrollo. La persona timida avverte un tale livello di vulnerabilità, che avverte la necessità incombente dell’auto osservazione.

Bisogna tener presente che il timore che si avverte principalmente, anche a livello cosciente, è quello del giudizio negativo altrui. Ciò implica la grande importanza che assume l’imperativo di non lasciar trasparire, rendere evidente, manifestare, le prerogative negative che l’ansioso sociale assegna a sé stesso per via dell’idea negativa che ha di sé.

Egli, dunque, si osserva continuamente, la sua è un’osservazione giudicante e verificante: valuta, attraverso le sue attività ruminanti, i presunti errori, i presunti difetti, le presunte incapacità, le presunte inabilità, il presunto dormire a occhi aperti, la presunta inferiorità. Analizza e rivive, con grande intensità emotiva, tutti gli eventi e le situazioni in cui si è visto in fuga, in apnea, in imbarazzo, ridicolo, impacciato, goffo, inetto. Gli insuccessi sono ferite che il suo pensiero non riesce a rimarginare. E resta lì, imperterrito, a osservare il riosservare sé stesso.

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