L’atteggiamento giudicante degli ansiosi sociali è spesso in due direzioni, verso sé stessi e verso gli altri. In precedenti articoli ho trattato l’argomento dell’atteggiamento giudicante analizzandolo quando questo è rivolto verso sé stessi, quando condiziona, lesivamente, il rapporto con le proprie esperienze interne e quando favorisce lo sviluppo dei sentimenti di rancore. Oggi vorrei allargare un po’ il campo visivo.

Cornelis van Haarlem – il giudizio di paride

In diversi studi effettuati negli USA dal team di Zimbardo, su un campione di bambini nelle scuole elementari e medie, e su un campione di giovani studenti universitari, si è notato come i soggetti timidi abbiano una tendenza accentuata a etichettare negativamente le persone che, a loro giudizio, si comportano “male”. 

Se vogliamo ben inquadrare questa tematica, bisogna tener conto di diversi fattori che sono determinanti nello sviluppo di questo modo mentale:

  • Le ansie sociali e la timidezza si formano su un nucleo di credenze disfunzionali che riguardano le definizioni del sé, degli altri e del mondo inteso come consesso sociale. 
  • Le credenze disfunzionali si rafforzano per mezzo di un processo circolare che coinvolge le attività cognitive, metacognitive e comportamenti inefficaci. Tale rinforzo favorisce la rigidità delle assunzioni e dei pensieri regolanti, in breve, degli schemi cognitivi.
  • Nelle ansie sociali e nella timidezza i problemi riguardanti l’accettazione sociale e del controllo hanno un ruolo preminente. 

Sia che si abbiano credenze negative su sé stessi che sugli altri, l’ambiente sociale è vissuto come un luogo contenente insidie, ostacoli, discriminazioni, esclusioni, problematicità.

La persona timida sente di doversi muovere su un terreno accidentato privo di supporto, solidarietà, disponibilità.

Certamente il modello sociale attuale che veicola principi come quelli della competizione e modelli di uomo e di donna vincenti e di successo, non è di aiuto per chi ha difficoltà a relazionarsi socialmente. È chiaro che ansiosi sociali e timidi vivono e vedono la propria condizione come se stessero nella fossa dei leoni senza armi e senza scudi.

Se l’ambiente esterno a sé, è vissuto come un luogo astioso, gli altri non possono non apparire, in qualche misura, colpevoli.

L’idea della colpevolezza altrui entra nella logica del controllo. 

Alcuni schemi mentali di soggetti timidi o socio fobici sono descritti dalla psicologia transazionale attraverso due locuzioni molto eloquenti: “Io sono ok, tu non sei ok” e “io non sono ok, tu non sei ok”. In ambedue queste forme mentis emerge l’idea che l’altro non sia affidabile e pertanto è da controllare.

Nel momento in cui si fa strada l’idea dell’inaffidabilità, diventa implicita la logica che conduce a considerare l’altro come manchevole di qualcosa. 

Giacché l’individuo timido ha il problema dell’accettazione e la sua timidezza è, per condizione necessaria, collegata all’interazione sociale, la manchevolezza viene ricercata nel comportamento altrui, soprattutto quando questi entrano in relazione con lui.

Ovviamente questa manchevolezza emerge dalla mancata corrispondenza che l’ansioso riscontra, nel comportamento altrui, con l’insieme di valori e assunzioni cui le persone timide fanno riferimento e il mancato soddisfacimento dei propri bisogni sociali.

Assunzioni e bisogni che possiamo riscontrare in quelli che Ellis ha chiamato “miti” e, in particolare, il “mito dell’obbligo” e il “mito del vero amico”.

Con il susseguirsi degli insuccessi relazionali, l’ansioso sociale tende a generalizzare le proprie esperienze, estraendole quindi dal contesto in cui sono maturate, e a ricavarne leggi interpretative universali.

In questo processo di generalizzazione entrano a farne parte anche i giudizi emessi dal soggetto ansioso.

Probabilmente la tendenza alla generalizzazione, sistematica e propria delle ansie sociali, favorisce il consolidarsi dell’esercizio abituale all’atteggiamento giudicante.

Dato che la manchevolezza altrui, presa in considerazione, è da riferirsi a quell’insieme di comportamenti e stili di vita che non favoriscono l’inclusione sociale del soggetto timido e ansioso, il pensiero giudicante è strettamente collegato al sistema logico generalizzante di valutazione.

Di conseguenza l’etichettamento e il giudizio negativo espresso dagli ansiosi sociali nei confronti degli altri finisce col diventare un giudizio negativo dell’umanità nel suo insieme e nella sua complessità. 

Per molte di queste persone, il mondo degli umani diventa inospitale, discriminante, escludente, emarginante ma anche contenitore e portatore di una cultura profondamente decadente.



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