Quando ci si vergogna di essere timidi

Quando ci si vergogna di essere timidi

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In un precedente articolo, ho parlato della vergogna come emozione in sé e le funzioni che svolge, in quanto tale, nella specie umana. Qui mi voglio soffermare su aspetti che riguardano la vergogna, in relazione al problema dell’appartenenza sociale. 

Elisa Anfuso – Con il Nastro Bianco

La vergogna provoca una sorta di auto umiliazione un po’ in tutti coloro che hanno a che fare con l’ansia sociale, cioè, la timidezza, la fobia sociale, l’ansia da prestazione, il disturbo evitante della personalità, eccetera. La vergogna è una emozione che ha due aspetti principali: il primo nasce dalla percezione del superamento di una soglia, oltre la quale, diventa a rischio l’accettazione sociale, per cui la persona timida teme di potersi trovare in una condizione di non appartenenza; il secondo, è soprattutto riferito al comportamento e all’idea di trasgressione di regole e principi cui si conferisce particolare valore. La vergogna, come superamento della soglia di perdita dell’accettabilità sociale, si collega a credenze sulla inadeguatezza delle proprie qualità personali. Qui è coinvolto il timore del giudizio negativo degli altri. L’ansioso sociale si preoccupa per come viene, o potrebbe essere, percepito dagli altri. Il percepirsi non allineato con gli standard comportamentali impone, alle persone timide, flussi di pensieri generalmente inerenti l’idea di una normalità mancata

Quando parlare in pubblico diventa un problema

Quando parlare in pubblico diventa un problema

Pubblicato da: Categorie: I problemi delle persone timide, Le emozioni

Spesso, quando una persona timida è in presenza di altre persone, o dinanzi una platea, il solo semplice atto del parlare diventa un problema. Sente montare l’ansia dentro di sé, le mani sudano, o cominciano a tremare, la paura ha il volto dell’inquietudine. 

Luigi Zizzari – pubblico caino

Gli altri non sono percepiti come ascoltatori, bensì, come giudici intransigenti che non perdonano.  Il timido radiografa sé stesso, alla ricerca di sintomi e di prove di una propria defaillance che sta per avvenire. 

Se gli altri sono giudici, egli, vittima della morsa della timidezza, è il colpevole che sta per essere condannato. 

Colpevole di cosa? Di ciò che egli stesso pensa di essere. Le persone timide sono vittime e prigioniere dell’idea che hanno di sé stesse.  Come il ladro, che si sente in sé la colpa, vede poliziotti a ogni angolo, queste anime angosciate vedono riflettersi negli sguardi degli altri e, infine, nella loro mente, l’inadeguatezza che sentono di avere.  Si percepiscono trasparenti agli occhi degli altri, quasi come se tutti gli uomini e le donne montassero lenti ai raggi x.  La mente dei soggetti timidi, in queste situazioni, è pervasa da pensieri che non annunciano nulla di buono, che sono portatori di cattivi presagi.  Pensieri che presto diventano invadenti: sono i pensieri automatici negativi, rappresentanti simbolici o metaforici di credenze be

Timidezza e paura di dare l’impressione

Timidezza e paura di dare l’impressione

Pubblicato da: Categorie: I problemi delle persone timide, Le emozioni
Ci sono aspetti cruciali che riscontriamo nei pensieri dell’ansioso sociale, il bisogno di appartenenza a un gruppo o a una comunità e il giudizio etico o morale che egli dà della propria persona.

Nicoletta Spinelli – La maschera 4

Mentre nel primo caso il problema dell’apparire si pone come antiscopo finalizzato a evitare di fare emergere o rendere visibili agli altri proprie presunte inadeguatezze, nel secondo è centrale il sentimento della vergogna per non essere corrispondente a un sé desiderato e idealizzato.

Tutti noi adottiamo dei coping (strategie comportamentali per fronteggiare le situazioni) per farci accettare, per ottenere riconoscimenti e ruoli sociali; tentiamo cioè di esaltare le nostre qualità positive cercando di apparire positivamente e appetibili. Nella normalità tali comportamenti sono finalizzati allo scopo di essere accettati o considerati ma, negli ansiosi sociali, nei timidi, sono finalizzati a evitare il giudizio negativo degli altri. Tale differenza può apparire insignificante, ma è invece sostanziale.  Infatti, nella normalità, lo scopo è l’accettazione, nell’ansia sociale lo scopo è l’antiscopo, cioè l’evitamento dell’apparire in modo negativo.  Per chiarire meglio questo concetto farò un esempio. Alberto, che vuole conquistare il cuore di Carla, si fa bello, cura il proprio aspetto, assume comportamenti ora da macho, ora gentili, cerc
La paura dell’intimità

La paura dell’intimità

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Quando una persona si percepisce inadeguata, ha paura. 

Elena Vichi – nascosta nel silenzio

Dato che alla percezione del sé sottende sempre una credenza, percepirsi inadeguati significa avere credenze del sé che definiscono se stessi come persone inadeguate. La paura dell’intimità o l’ansia da prestazione, non sfugge a questa legge. Un aspetto problematico di questo timore, che scaturisce dall’interazione sessuale, o dalla comunicazione interpersonale che sconfina nel personale, troppo personale, è che il percepirsi “difettosi”, oltre a essere alimentata da una credenza d’inadeguatezza, alimenta la formazione di una teoria “naif” sulle cause delle proprie difettosità.

Infatti, nella timidezza, come nelle altre forme di ansia sociale, il soggetto tende, e si sforza di farlo, di darsi una spiegazione sulle cause e sulla natura del proprio disagio.

Nel caso della paura dell’intimità, gli ansiosi sociali si trovano a viaggiare su una sorta di doppio binario cognitivo, uno che affonda direttamente nei livelli inconsci e che ha a che fare con le credenze originarie del disagio, l’altro che fa riferimento a processi di pensiero cosciente che sono l’espressione dello sforzo di comprensione. Coscienza e incoscienza si fronteggiano indicando, generalmente, cause e origini ben distinte, indirizzi metacognitivi e comportamentali all’insegna dell’incertezza e del

La paura di soffrire dentro

La paura di soffrire dentro

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La sofferenza comporta emozioni forti che nessuno di noi vorrebbe mai provare. Dobbiamo, però, fare i conti con la condizione umana, gli eventi e le circostanze che si verificano nostro malgrado, talvolta, assolutamente estranei alla nostra persona.

Henry Fuseli. The Nightmare

Sull’inevitabilità della sofferenza sono già stati scritti fiumi di parole, sia nel campo scientifico, sia in quello artistico.

Essenziale, per far fronte alla sofferenza, è l’atteggiamento di accettazione. Nella vita reale, e in tutte le culture e le epoche storiche, i comportamenti messi in campo per evitare la sofferenza sono particolarmente graditi e praticati. C’è, però, una linea di confine oltre la quale i comportamenti di evitamento della sofferenza assumono carattere decisamente patologico. Nelle ansie sociali, l’evitamento della sofferenza, assume i connotati dell’antiscopo. Si evita il raggiungimento di scopi desiderati per evitare che il loro perseguimento possa comportare sofferenza.

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Il rammarico della ruminazione nella timidezza

Il rammarico della ruminazione nella timidezza

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Analogamente al rimuginìo, la ruminazione è un processo cognitivo che implica pensieri negativi ripetitivi e che, spesso, diventano incontrollabili. 

Rene Magritte – memorie di un viaggio

Anche in questo caso l’uomo rumina perché percepisce dei problemi fondati su eventi negativi passati o sulla condizione emotiva nel presente.

A differenza dal rimuginìo, la ruminazione, però, è rivolta al passato o al momento presente; quindi, differisce sia per contenuto che per struttura formale. È anche descritta come una categoria di pensieri coscienti e strumentali che ruotano intorno a un tema e che si presentano anche quando non esiste nessun stimolo ambientale. Nella timidezza e in altre forme di ansia sociale, la ruminazione è, in primo luogo, ripetizione, quasi ossessiva, del ricordo; in secondo luogo, è valutativa delle esperienze trascorse e del sé o degli altri.

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Ansie sociali e senso d’inadeguatezza

Ansie sociali e senso d’inadeguatezza

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Con quanti pensieri una persona timida dice a sé stessa che è inadeguata? 

Claudia Venuto – come in alto così in basso

Spesso se lo dice senza neanche accorgersi d’averselo detto; se lo dice quando si convince di sapere come andrà a finire; se lo dice quando deve fronteggiare una situazione; se lo dice dopo ogni rinuncia, ogni fuga, ogni evitamento, ogni insuccesso percepito; se lo dice quando stabilisce cosa fare o non fare; se lo dice con immagini mentali; se lo dice con puri atti di coscienza; se lo dice nel suo dialogo interiore:

Non sono capace di farlo; Loro sono più bravi di me; Se dico qualcosa, rischio di fare un gran figuraccia; So bene che non devo esprimere il mio pensiero; Non so cosa dire; Sono un fallito/a, Penserà che sono stupida/o; Se dico la mia penseranno che sono cretino/a; Il mio valore dipende da quello che gli altri pensano di me; Per quel che ho fatto non merito niente; Sono sbagliata/o; Sono difettosa/o; Ho qualcosa che non va; Cos’è che non va in me?; Sono solo uno/a sfigato/a… la mia vita non ha senso; Uno che alla mia età’ non ha né una macchina, né una vita sociale, né un fidanzato/a, è proprio un/a fallito/a; Mi sento ingenuo/a, stupido/a, cretino/a; Non conquisterò mai il suo cuore, sono incapace di farlo; Non sono capace di amare; Non ho preso l’esame, perché sono un/a incapace; Se ho paura di sbagliare all&
La rabbia nelle ansie sociali

La rabbia nelle ansie sociali

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La rabbia che scaturisce dalle esperienze emotive dei soggetti timidi e degli ansiosi sociali, può orientarsi in due direzioni, nei confronti degli altri e verso é stessi.

Maria Rita Renatti – i am a monster

Quando la rabbia è rivolta verso sé stessi, i pensieri dominanti sono quelli indirizzati verso una spietata e severa autocritica.

La persona timida si rimprovera per non aver saputo gestire la situazione, per non aver saputo controllare sé stessa, per non aver saputo cogliere le implicazioni, i significati, gli eventi prevedibili.

La rabbia diventa espressione della valutazione di un’esperienza come di fallimento di sé come soggetto sociale, di sé come individuo, ma anche dolore di una sconfitta, per il proprio fallimento, per la propria presunta inadeguatezza. In questo caso non c’è tanto la non accettazione dell’esperienza, quanto la non accettazione di sé stessi. Non a caso la rabbia rivolta verso di sé è spesso seguita e/o accompagnata anche da sensi di colpa. L’individuo timido arroga a sé le cause e/o le colpe dell’interazione finita male.  Alla base di queste valutazioni negative ci soni i bias, che sono distorsioni degli schemi cognitivi con cui valutiamo le situazioni; si tratta di modi del ragionamento condizionati da pre-giudizi radicati che si formano nella nostra mente in funzione di assunzioni, credenze e modelli metacognitivi disfunzionali.

Il rossore al volto e la paura di arrossire

Il rossore al volto e la paura di arrossire

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Nell’immaginario collettivo, la rappresentazione della timidezza è spesso legata all’immagine di un volto con il rossore sulle guance. Ne ritroviamo una rappresentazione iconografica anche nelle emoticon.

Luigi Zizzari – Ahi ahi… se ne sono accorti

L’ansia è, esternamente, l’indicatore dell’esistenza di uno stato emotivo e di pensieri collegati al senso d’inadeguatezza; come esperienza interna, è un segnale che ci avverte di una minaccia che incombe su di noi.

Il rossore al viso è la manifestazione fisiologica dell’ansia, e la conseguenza delle emozioni di vergogna o d’imbarazzo. Questo significa che il rossore al viso è l’espressione di un variegato insieme di sentimenti di disagio.

Mentre la vergogna è da collegare alla convinzione di una personale inadeguatezza, vera o presunta che sia, l’imbarazzo è da collegare a un senso di colpa. (altro…)

Timidezza e dolore di non appartenenza

Timidezza e dolore di non appartenenza

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La timidezza è una condizione di disagio sociale di natura cognitiva che sussiste nelle situazioni di interazione interpersonale o che le presuppongono.

Edvard Munch – Ashes

Dunque, la timidezza si esplicita con la difficoltà del soggetto a interagire con le persone, a inserirsi nei contesti sociali di vario genere, nei gruppi, nell’instaurazione di rapporti amichevoli o di coppia.

La timidezza si sviluppa quando la mente forma, e memorizza, cognizioni di base riguardanti rappresentazioni negative del sé.  Si tratta di rappresentazioni che definiscono il sé in merito a quattro aree tematiche:

Essere, o meno, capace di fronteggiare eventi e situazioni con efficacia. Avere, o no, le giuste abilità nel comunicare e relazionarsi con gli altri. Suscitare, o meno, giudizi o sentimenti di amabilità, accettabilità, interesse come persona. Essere biologicamente, neurologicamente o fisicamente normali o difettosi per nascita.

Giacché, una o più, definizioni del sé descrivono la propria persona come soggetto dalle qualità negative e, dunque, inadeguato, si ha che nel momento in cui nella mente si attivano tali credenze, entrano in gioco processi cognitivi e ansiogeni che:  (altro…)