Se la cognizione è una funzione che ci permette di raccogliere informazioni sul mondo esterno e su quello interiore e, allo stesso tempo, di analizzarle, valutarle, memorizzarle, trasformarle o crearne di nuove; la metacognizione è l’auto riflessione sulle proprie cognizioni ed emozioni.
Con quest’attività noi meditiamo sul nostro stesso stato mentale, sui processi conoscitivi che si sviluppano dentro di noi.
Dato che la cognizione si manifesta attraverso il pensiero, la metacognizione è metapensiero. Quindi, la metacognizione è il pensare sui propri pensieri.
In condizioni normali, essa ci permette di approfondire il contenuto e le forme dei nostri pensieri e, pertanto, di poter indirizzare i nostri percorsi di apprendimento.
Grazie alle metacognizioni noi possiamo costruire dei piani o programmi cognitivi e metacognitivi, destinati a indirizzare il nostro comportamento ma anche i nostri approcci mentali alle problematiche.
La gran parte dei teorici suddivide la metacognizione in conoscenza metacognitiva e regolazione metacognitiva, a seconda che tali attività si svolgono in relazione alla conoscenza e all’apprendimento oppure in relazione all’attenzione, al controllo, , alla pianificazione, alla rivelazione degli errori.
Nelle varie forme di ansia sociale, la metacognizione finisce con il concentrarsi in maniera esasperata, reiterata e ossessiva nell’attività di valutazione, monitoraggio o controllo di una cognizione. In pratica ci si preoccupa per l’essere preoccupati, per come si pensa, per come si ragiona, per come si decide. Nella mente dell’individuo timido la metacognizione appare come lo svolgimento logico di un’attività critica spesso considerata utile.
Buona parte delle credenze intermedie e delle distorsioni cognitive, sono metacognizioni.
Sono metacognizioni quell’insieme di pensieri che svolgono un’analisi critica, spesso esasperata, sui propri modi di pensiero, del comportamento, di approccio mentale alle situazioni.
Lo sono anche quell’insieme di pensieri che esprimono preoccupazione per i propri stati mentali, per le proprie paure, per la paura della paura, degli automatismi mentali di cui si è vittima, del fatto stesso di pensare, del meditare sul fatto che non bisognerebbe pensare a ciò cui si pensa insistentemente e che viene considerato negativo.
Sono ancora metacognizioni quei pensieri che ci inducono a meditare su nostre presunte incapacità.
Sono attività metacognitive quelle che svolgiamo per pervenire alle nostre conclusioni cognitive sintetiche o per esprimere le nostre credenze di base dichiarative: ad esempio, con quale ragionamento, una persona timida giunge alla conclusione di essere un individuo stupido?
Egli ha analizzato i suoi insuccessi; ha interpretato, seguendo le sue impressioni interne, gli sguardi e le espressioni degli altri; ha previsto, nella sua mente, i suoi insuccessi e i giudizi altrui; ha ascoltato le sue voci di dentro riguardanti il sé; infine è giunto a conclusione di essere stupido. Ecco, tutto questo processo elaborativo costituisce un’attività metacognitiva.
Nella timidezza e in altri disturbi emotivi, le metacognizioni costituiscono, per certi versi, lo zoccolo duro della disfunzionalità dei pensieri che permeano la mente.
Nelle ansie sociali le metacognizioni sono processi mentali che conducono alla conferma e al rinforzo di tutte le cognizioni disfunzionali, come le credenze di base, le stesse metacognizioni. Esse interagiscono e influenzano, in negativo, i piani cognitivi e metacognitivi finalizzati alla gestione dei comportamenti e degli stessi approcci mentali alle problematiche.
Secondo diversi teorici le metacognizioni operano su due diversi livelli, interconnessi tra loro, e che sono chiamati “metalivello” e “livello oggetto”.
Questi due diversi livelli di metacognizione si distinguono per il modo con cui l’individuo si rapporta agli eventi interiori o esterni.
Nel modo oggetto, che è tipico del pensare dei soggetti afflitti da timidezza e altre forme di ansia sociale, i pensieri sono considerati come rispecchianti la realtà, per cui i pericoli o rischi, anche se inesistenti, sono considerate minacce oggettive, reali, concrete, immanenti. Ovviamente, come si comprenderà, le metacognizioni poste nel livello oggetto favoriscono il permanere delle credenze disfunzionali.
Nel modo metacognitivo i pensieri sono considerati eventi mentali, per cui non rappresentano, di per sé, la realtà e i rischi sono vissuti come fatto soggettivo. In questo secondo modo i pensieri sono ritenuti fenomeni da valutare e, pertanto, agevolano il processo, continuo e costante, di evoluzione, mutamento e adeguamento delle credenze.