Il rapporto tra le persone timide e gli altri è molto problematico. Watzlawick afferma che non è possibile non comunicare, qualsiasi cosa ciascuno di noi possa fare, comunichiamo.
L’uomo comunica non soltanto in forma verbale, né solo in modo volontario.
Postura, mimica facciale, sguardo, gestualità, modi del camminare, azioni e atteggiamenti, look, portamenti, persino il semplice aspetto fisico, sono tutti elementi che ci trasmettono un’idea dell’individuo con cui abbiamo a che fare. E ciò indipendentemente da quale sia la realtà delle cose.
Questi costituiscono il linguaggio non verbale che, per la verità, è preesistente al linguaggio verbale.
Più che fattori di trasmissione, si tratta di elementi che, attraverso il processo d’interpretazione degli eventi e delle cose che svolge la nostra mente, da significanti acquisiscono carattere di significato.
Ciascuno di noi interpreta ciò che sollecita i nostri sensi e/o la nostra attenzione, in funzione della nostra storia personale e sociale, le conoscenze, la memoria, gli schemi mentali, culturali, morali, etici.
Interpretiamo gli eventi e le cose anche secondo lo stato emotivo del momento in cui riceviamo lo stimolo, il livello di attenzione che prestiamo a esso.
L’interpretazione degli eventi e delle cose, non rappresenta la realtà in sé, cioè, ciò che è a prescindere; essa rappresenta ciò che a ciascuno di noi appare come reale, ma si tratta di una realtà relativa alla nostra esclusiva esperienza.
Esistono, però, modalità di comportamento che hanno significato comune per buona parte delle persone. Modi che sono appresi dall’uomo soprattutto nel periodo che va dalla nascita a tutta l’adolescenza. Apprendimento che nelle età precedenti l’adolescenza si acquisisce per imitazione, emulazione, similitudine, associazione, esperienze visive o di relazione.
Le persone timide non conoscono, o non riescono a porre in atto le modalità di comportamento comune.
Quando un individuo timido non conosce queste modalità comportamentali comuni, è perché durante l’infanzia e la fanciullezza è cresciuto in un ambiente, soprattutto familiare, molto carente da un punto di vista assertivo e comunicativo. In questi casi il soggetto non si è trovato nella condizione di poter apprendere sufficientemente modelli di relazione sociale.
Quando, invece, un soggetto timido non riesce a ricorrere ad abilità sociali di cui è normalmente dotato, ci troviamo nella casistica del mancato esercizio dei modelli di relazionamento che in genere si verifica per effetto dell’inibizione ansiogena.
Resta comunque il fatto che, indipendentemente dal possedere o meno abilità sociali, la persona timida, così come anche quelli afflitti da altre forme di ansia sociale, sono sostanzialmente sopraffatti dal timore del giudizio negativo altrui che scaturisce da credenze di base negative riguardanti la definizione del sé.
Ne scaturisce una paura generale che può investire l’intero dominio delle relazioni sociali.
È da questo che derivano i comportamenti inibiti degli individui timidi e degli ansiosi sociali in generale.
Il problema è che tali comportamenti differiscono significativamente dai modelli di relazionamento comuni nei contesti sociali.
Questi sono poco comprensibili agli altri del gruppo o del consesso sociale, poiché non corrispondono a un linguaggio comportamentale comune.
È un po’ come se io, in uno sperduto paesino contadino dell’entroterra cinese, volessi parlare agli abitanti di quel luogo, in lingua italiana.
La timidezza non si caratterizza solo per i comportamenti inibiti, ma anche per un insieme di linguaggio non verbale, cui ho accennato proprio a inizio articolo, che sono interpretati come dichiarazione d’indisponibilità alla relazione.
La scarsa partecipazione alle attività di gruppo, il porsi in disparte, lo scarso attivismo o l’estraniarsi nelle conversazioni, possono essere interpretate come atteggiamento snobistico o di superiorità. In questi casi l’evitamento posto in essere dal soggetto timido appare come un mancato interesse nei confronti delle attività del gruppo o verso il gruppo stesso.
Spalle e busti incurvati in avanti, gli sguardi fissi a terra, la testa inclinata in avanti, atteggiamenti sommessi, possono trasmettere l’idea di una persona persa che ha ben poco da offrire, magari di un individuo troppo mediocre come persona.
Fa una prova, guardati in giro quando sei in strada, individua persone che hanno di queste posture, e chiediti che tipo è.
Comportamenti passivi, sottomessi, possono conferire l’idea di un individuo privo di personalità e carattere, di capacità decisionali e operative.
Comportamenti aggressivi o nervosi non possono che trasmettere l’idea dell’isteria ma anche la percezione di un individuo rancoroso e avverso.
Benché nella realtà questi comportamenti siano figli di timori reconditi, di percezioni negative del sé, di pensieri previsionali negativi, di tentativi di evitare presunti rischi più gravi, il risultato che si ottiene è quella di dare la sensazione di essere o inadeguati o discriminanti.