L’estraniazione o l’auto isolamento sono comportamenti frequenti in tutte le forme dell’ansia sociale. 
Da un punto di vista della percezione cosciente, i tipi di sentimenti avvertiti, in questa condizione, possono essere orientati in varie direzioni, voglio qui, considerarne alcuni tra i più diffusi.

Joan Miro – la scala della fuga

Il sentimento di non appartenenza. A seconda dei contesti e delle situazioni, la persona timida, può sentirsi parzialmente o totalmente estranea al gruppo. Avverte tra sé e gli altri delle distanze, la cui attribuzione di causa, la assegna a fattori come, ad esempio, la banalità degli argomenti, l’inutilità culturale, sociale o pratica delle argomentazioni oggetto del dibattere, l’idea di ipocrisia o falsità assegnata ai soggetti partecipanti alla discussione, i cui contenuti espressi, appaiono senza valida giustificazione o in aperta contraddizione con l’identità culturale che, l’individuo timido, assegna loro. 

Egli avverte la sua diversità e la assegna ora, a una dissimiglianza tra dimensioni qualitative, ora, a una disponibilità limitata o indisponibilità altrui nei propri confronti, ora a una disuguaglianza di ceto o di altro carattere sociale. 

Il sentimento d’inadeguatezza. Qui la fa da padrone la percezione che si ha di sé stessi, se il sentimento di non appartenenza afferisce al sé sociale, quindi in rapporto agli altri, il sentimento d’inadeguatezza è inerente al sé individuale, e perciò rivolta alle proprie qualità. 

In questa fattispecie l’estraniazione è conseguenza di una bassa autostima, il soggetto timido si percepisce come non all’altezza di far fronte alla situazione in modo efficace e socialmente accettabile, spesso pensa che bisogni ben guardarsi dall’esprimere una propria opinione. 
L’attribuzione di causa si delinea, sovente, come alibi inconscio, essa si riferisce abitualmente agli eventi stessi.
La considerazione di essere scarso valore conduce all’idea di non senso alla partecipazione, ma anche alla non convenienza o all’inutilità, non potendo apportare qualità, egli pensa di rischiare di danneggiare solo sé stesso.

Il sentimento di colpevolezza. La timidezza talvolta è indotta dall’idea di arrecare disturbo e, soprattutto nelle situazioni di discussione, di non avere diritto di parola. Anche in questo l’idea di non meritare afferisce al sé individuale. Sopravviene, in questi casi, un sentimento di colpevolezza, e il timore di produrre danni agli altri.

Comunque sia, l’inibizione ansiogena che favorisce l’estraniazione, si configura come comportamento evitante o elusivo di fronte all’idea di una propria impotenza operativa, dovuti da timori come l’insuccesso, il fallimento, l’apparire goffi, ridicoli, di incorrere nel giudizio negativo degli altri, di arrecare danni: in breve, di sprofondare nella solitudine, nell’isolamento, nell’emarginazione.

Sovente il processo di estraniazione, induce la sensazione di essere spettatore “attivo” dell’evento che si consuma in sua presenza, di vivere la circostanza come osservatore diretto o come testimone esterno, di essere fuori luogo. In altre situazioni l’estraniazione produce una vera e propria assenza mentale durante l’evento, in questi casi la persona timida ha un’attività di pensiero autonomo e del tutto scollegata dal contesto.

Questo tipo di comportamento è generato dai pensieri automatici negativi, i quali costituiscono il momento di sintesi delle credenze di base e intermedie. Sappiamo già che queste ultime fanno riferimento a idee di sé come persona caratterizzata da fattori quali l’inabilità di relazione, l’incapacità o invalidità da prestazione, l’inadeguatezza culturale, inferiorità, di scarso valore come persona, non amabile, non meritevole.

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