La mindfulness, oggi, va intesa come una categoria, un insieme di tecniche, di tipo meditativo, in cui confluiscono diverse esperienze provenienti da vari canali culturali e di ricerca. Fondamentalmente la possiamo suddividere in due gruppi principali: la meditazione consapevole e la consapevolezza distaccata. 

Giampaolo Ghisetti – chi siamo

La prima è più direttamente discendente dalla cultura buddista, mentre la seconda è una rielaborazione che si è sviluppata nell’ambito della ricerca della psicologia cognitivo comportamentale di terza generazione.

Voglio precisare che la pratica della mindfulness non ha nulla di ascetico, religioso, mistico, spirituale. È una pratica con i piedi ben piantati a terra.

L’individuo può essere alla mercé di costanti sbalzi d’umore, di forti stati emotivi, di stati ansiosi.

Uno degli obiettivi della mindfulness è il raggiungimento di un buon grado di resistenza ai fattori di stress, evitando che ci si abbandoni passivamente alle sensazioni che si provano, senza necessariamente porsi in modo antagonista.

Nella psicoterapia cognitivo comportamentale, il ricorso alla mindfulness, si pone l’obiettivo di un processo di distanziamento critico dagli schemi cognitivi disfunzionali, a ridurre il ricorso all’evitamento e ad aumentare il repertorio comportamentale mediante le tecniche di consapevolezza, distacco e accettazione non giudicante. 

Con la meditazione consapevole , lo scopo è di ancorarsi al presente, al qui e ora; di instaurare una diversa relazione con le proprie esperienze interiori, accettandole come parti del proprio paesaggio interno e ponendosi in una posizione di astensione dall’agire sulle cause. In questo modo si comincia a considerare i propri pensieri come eventi temporanei dai significati relativi, anziché come rappresentazione esatta della realtà oggettiva e del proprio sé.

Giacché la meditazione è una tecnica finalizzata all’approfondimento dell’attenzione e all’acquisizione di una lucida consapevolezza, le persone stressate e quelle ansiose, possono apprendere a osservare pensieri, sensazioni, emozioni ed eventi, in modo oggettivo. Si apprende a farlo senza reagire a tali stimoli, acquisendo una maggiore capacità di introspezione e accettazione delle esperienze e la comprensione che tali eventi hanno carattere transitorio e impersonale.

La ruminazione, la preoccupazione, l’attenzione centrata su di sé e sui pensieri negativi, sono i fattori che determinano lo stress psicologico e persino quello fisico, come ad esempio, la percezione dell’intensità del dolore.

L’obiettivo della consapevolezza distaccata è di prendere le distanze dai contenuti negativi dei pensieri, assumere la consapevolezza della loro natura, della loro struttura, delle loro forme, dei loro contenuti, della loro sintassi. Potrei dire che è un modo di obbedire a una visione che può essere racchiusa nel motto, “conosci ciò che ti danneggia”.

Diversamente dalla meditazione consapevole classica, la consapevolezza distaccata non si limita alla semplice consapevolezza del qui e ora, obiettivo che comunque persegue, ma punta a distribuire diversamente l’attenzione, soprattutto quando l’obiettivo è di determinare nuovi piani alternativi per la gestione delle minacce, e a ridurre la concentrazione dell’attività attentiva auto centrata su sé stessi, e di cui la persona non riesce ad averne il controllo.

Si tratta di prendere le distanze dai pensieri disfunzionali. Tutto ciò è finalizzato alla ristrutturazione cognitiva; quel processo, cioè, che ci permette di intervenire, da una parte, modificando o sostituendo gli schemi cognitivi disfunzionali che si sono formati nella mente per effetto di esperienze traumatiche e micro traumatiche ripetute, o vissute in modo emotivamente e intensamente stressanti; dall’altra, per rafforzare schemi cognitivi funzionali già presenti, ma che rischiano di essere sopraffatti da moti emotivi e pensieri negativi.

Con la consapevolezza distaccata si condivide, sia l’ancoraggio al presente, sia lo stabilire una diversa relazione con le esperienze interne, propria della meditazione consapevole, ma si preferisce, in alternativa all’astensione, la strada di una relazione dialettica con i flussi di pensieri in modo da cogliere le opportunità di poter confutare, in modo efficace, gli schemi cognitivi disfunzionali. 

Non si tratta di opporsi ai pensieri e alle emozioni negative, di volerle reprimere nella loro manifestazione, anzi, come nella meditazione consapevole classica, esse vengono lasciate fluire, ma osservate e studiate, ponendosi rispetto a esse, con un atteggiamento di non valutazione, di non giudizio, come esploratori, come soggetti esterni a sé.

Ponendosi come un osservatore esterno dei propri pensieri, si avvia già un loro processo di decentramento, e ci si avvia già a modificare la relazione con tali esperienze. 

Nella pratica della consapevolezza distaccata osserviamo i nostri pensieri nella loro natura, prendiamo piena consapevolezza che sono eventi della mente e che, in quanto tali, non sono l’espressione della realtà, ma sono un’interpretazione dettata dalle condizioni contingenti. 

Cioè prendiamo cosciente consapevolezza che non si tratta della realtà oggettiva ma della nostra percezione della realtà. 




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