Con quest’articolo e con quello che seguirà, tratterò di acceptance e mindfulness, nuove tecniche psicoterapeutiche emerse, da qualche decennio, all’interno della psicologia cognitiva.

Questi modelli, pur partendo dagli assunti teorici di base della terapia cognitiva, concentrano l’attenzione terapeutica non sui contenuti espressi da credenze e pensieri automatici, bensì ai processi mentali, ponendo l’accento sulla libertà di scelta e il perseguimento degli obiettivi personali.

Si fondano su tre elementi di base strettamente collegati tra loro: la relazione con le proprie esperienze interne, l’evitamento esperienziale, il restringimento del repertorio comportamentale.

La relazione con le proprie esperienze interne

René Magritte – presenza della mente

Un fenomeno piuttosto tipico che ciascuno di noi sperimenta nella propria vita, è l’identificazione di sé con i propri pensieri, emozioni, immagini mentali o sensazioni fisiologiche, cioè con l’insieme delle proprie esperienze interiori. Per comprendere meglio questo concetto, basta pensare a quando ci capita di tornare, con la mente, al ricordo di esperienze passate: comportamento ed emozioni sono proiettate in quella dimensione temporale, tale che ne riviviamo la tragicità o la piacevolezza, sul nostro viso può abbozzarsi un sorriso o un’espressione triste.

È il cosiddetto fenomeno della fusione psichica. Questa identificazione con le proprie esperienze interiori induce l’individuo a predisporsi in difesa o in apertura verso gli eventi analoghi che si verificano nel presente.

Negli individui timidi, o assoggettati all’ansia sociale in generale, la fusione psichica costituisce una costante di vita sempre di segno negativo e attiva credenze disfunzionali e pensieri automatici negativi.
Proprio l’esperienza della fusione psichica, che produce il susseguirsi di pensieri automatici negativi e l’incedere dell’ansia, fa sì che l’individuo sia mosso dall’anelito che quelle stesse tipologie o similitudini di esperienze possano generare emozioni diverse da quelle negative sperimentate in passato.  Desiderio che può diventare un obiettivo possibile attraverso l’accettazione e la meditazione consapevole.

L’evitamento esperienziale

L’evitamento è una strategia cognitiva o comportamentale avente lo scopo di modificare le esperienze interiori sia nella forma, sia nella frequenza.
I motivi che spingono le persone timide a porre in atto strategie evitanti, vanno in tre direzioni principali:

Il fattore culturale dell’evitamento. Nella società umana è molto sviluppata l’idea che serenità e felicità siano maggiormente raggiungibili evitando la sofferenza. Questa logica che, da qualche secolo si è maggiormente radicalizzata, è sostenuta anche dalla convinzione che sia meglio avere e attuare un controllo sulle proprie emozioni, tanto che disciplinarle insieme ai pensieri negativi, è una costumanza che è favorita, trasmessa e incoraggiata, nonostante i gravi danni che produce. L’esercizio del controllo su emozioni e comportamenti è ampiamente considerata una pratica risolutiva dei problemi.

Molti motti, assunti, slogan, precetti familiari e il disimpegno intellettuale, purtroppo ben radicati nella cultura collettiva e che hanno origini secolari o, in alcuni casi religiosi, vanno in questa direzione. Le tecniche di rilassamento e, in misura maggiore, gli ansiolitici, rispondono anch’esse a questa cultura, ma mentre le tecniche di rilassamento applicate con sistematicità e costanza mirano a creare l’effetto del condizionamento operante sostituendosi, quindi agli automatismi dell’ansia, l’ansiolitico non produce risultati duraturi. Il tentativo di determinare un dominio sulle emozioni e sui pensieri automatici negativi, attraverso la semplice repressione, produce però, il risultato opposto e cioè, il rinforzo delle credenze disfunzionali. Il continuo tentativo di rifiutare o respingere tout court i pensieri automatici negativi, alimentano il circolo vizioso.

Il condizionamento operante. Il continuo esercizio dell’evitamento determina l’apprendimento e il radicamento di tale pratica che diventa abituale, si verifica cioè, un condizionamento operante. Le emozioni negative e l’ansia sono considerate dal soggetto timido degli indicatori della realtà, infatti, come ho già scritto in altre occasioni, questi fattori emotivi sono assunti come certezza del mondo reale.

La vulnerabilità individuale. In un precedente articolo ho accennato alla possibile origine genetica del temperamento ansioso. Questo è un fattore di vulnerabilità individuale che può produrre una più alta intensità o frequenza dei fenomeni dell’ansia. In questi casi le strategie dell’evitamento hanno una maggiore possibilità d’induzione.

ALLA 2° PARTE

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